Reduce dai successi di Venezia, dove ha raccattato premi e da un solido tamtam di commenti positivi arriva (forse…) “Io sono Li,” opera prima del documentarista Andrea Segre, da non confondere con il più anziano Daniele, veterano dei documentaristi italiani, al quale non è, per quello che mi risulta, legato in alcun modo.
La storia è semplice: Shun Li è un’operaia tessile , vive nell’hinterland di Roma e attende di potersi ricongiungere con il figlio di otto anni che è rimasto in Cina.. Viene trasferita , per lavorare come barista in un’osteria, a Chioggia, la (splendida) cittadina al bordo meridionale della laguna di Venezia, grande centro di pesca e dell’industria ittica.
Insomma, una locandiera che parla cinese, come ricorda il bell’articolo che il mio mentore Antonio Costa ha dedicato al film, con tutte le allusioni Goldoniane incluse, e tanto di sottotitoli, perché se lei parla la sua lingua, anche gli avventori si esprimono nello stretto ed incomprensibile dialetto locale.
Nell’osteria conosce un anziano pescatore di origine slava, Bepi, soprannominato “Il poeta” e tra i due nasce qualcosa, una sintonia, un sentire, che unisce mondi lontani ma genera qualche malumore e qualche incomprensione tra due comunità, quella chiozzotta e quella cinese, che hanno mantenuto in modi diversi una visione arcaica e ristretta del mondo. Su tutto impera la laguna, con la sua unicità, le sue immagini, la sua cultura, i tempi e i silenzi.
Naturalmente Segre sa come mostrare e sorprendere su questo piano, le immagini sono la sua forza, ma a queste unisce un racconto elegante, poetico, e alla fine emozionante.
Intendiamoci, in queste colonne, finora, abbiamo parlato di piccoli sforzi locali spesso brillanti nella loro pochezza di mezzi, qui ci troviamo di fronte ad un film solido, a partire dal cast: Li è Zhao Tao, che ricordiamo in “Still life” ed è la musa del regista Jia Zhang Khe, un abbonato ai super festival, e Bepi, mi permetto una nota di autobiografia, è il “mio” Rade, Rade Sherbedzjia, il gradissimo attore serbo-croato (proprio così, Rade è sia serbo, che croato e per non fare torti ha preso la cittadinanza slovena) che ricordiamo tanto per dire in “Eyes wide Shut”. Attorno a due star di questo calibro c’è il meglio degli attori veneti: un feroce Battiston, Roberto Citran e perfino Marco Paolini, con il quale la produzione Padovana Jolefilm e lo stesso Segre hanno collaborato in passato.
Aggiungo: fotografia, adeguata e quindi notevole, di Luca Bigazzi, collaboratori all’altezza e per finire in gloria coproduzione francese.
Eppure, se si vuole, l’elemento di maggior interesse di questo prodotto, è la strategia produttiva che ha messo insieme contributi locali ed ha in qualche modo creato il modello di una cinematografia delocalizzata che potrebbe offrire spunti a molti filmaker non romanizzati.
Concludo con un aneddoto , si è mormorato sul fatto che proprio l’eccesso di localismo veneto, dialetto incluso, abbia relegato il film in una rassegna minore, dove pure è stato notato, eccome, a scapito del concorso in cui le majors nazionali hanno ineluttabilmente comandato…
Buona caccia a chi cercherà di vederlo.
(di Andrea Segre)