Sotto il pavimento di una casa di campagna alla periferia di Tokyo vivono misteriosi esserini alti solo pochi centimetri. Tra loro c’è Arrietty, quattordicenne dolce e intraprendente che vuole aiutare il papà nell’ “attività di famiglia”: prendere in prestito ciò che gli umani dimenticano o non utilizzano, per poter condurre in incognito un’esistenza parca e serena. Fino al giorno in cui Sho, un ragazzino umano dalla salute cagionevole, accidentalmente la vede. L’unica soluzione per la famiglia di Arrietty è abbandonare la casa, ma ci sarà il tempo perché tra i due adolescenti nasca una splendida amicizia.
Hayao Miyazaki ha accarezzato l’idea di portare su grande schermo “Gli sgraffignoli” (cinque romanzi fantasy dell’inglese Mary Norton) per quaran’anni. Ma altri progetti hanno preso il sopravvento e la Norton nel frattempo ha ispirato una serie tv e un assai dimenticabile lungometraggio live di Peter Hewitt (“I rubacchiotti”, 1997). Nel 2010 il Maestro è finalmente tornato alla vecchia idea, limitandosi però a curarne sceneggiatura e supervisione generale ed affidandone la regia a Hiromasa Yonebayashi, già animatore di punta di pellicole come “La città incantata” e “Il castello errante di Howl”. Ne è nato un film poetico e delicato, in pieno “stile Miyazaki” sia dal punto di vista estetico che soprattutto tematico. Come in Ponyo sulla scogliera o in Il mio vicino Totoro, anche qui è centrale l’amicizia tra esseri diversi che si aiutano e si rispettano l’un l’altro. Non manca poi la tematica ambientalista, da sempre così cara al Maestro, unita ad una chiara critica al consumismo: Arrietty e i suoi vivono in completa armonia con la natura e riciclano in modo intelligente e creativo oggetti altrimenti abbandonati.
Arrietty è forte e determinata come tutte le eroine di Miyazaki, tanto da essere d’ispirazione al fragile Sho (personaggio nuovo rispetto al romanzo). Grazie a lei il ragazzo conosce un sentimento a lui sconosciuto prima di quel magico incontro: la speranza.
(di Maria Francesca Genovese)