Qualcuno parlerà forse di instant-movie, mentre ad altri potrà sembrare un’operazione furbetta pensata e realizzata per cavalcare l’onda lunga del dissenso che una parte del Nord progressista e non del tutto imbevuta di deliri secessionisti e intolleranze razziali non ha smesso di palesare negli ultimi anni.
Sta di fatto che, aldilà delle inattese polemiche politiche scatenatesi dopo la proiezione veneziana, questo terzo film di Francesco Patierno ha il pregio di sfruttare un’idea geniale per trattare con ironia un tema delicatissimo quale l’integrazione extracomunitaria nel mercato del lavoro nazionale, ma anche l’ormai “vexatissima quaestio” dell’immigrazione in genere e del suo impatto sulla società italiana a tutti i livelli.
Patierno, autore anche della sceneggiatura, immagina che un bel giorno, nell’opulento nord-est che da almeno trent’anni ha costruito il proprio benessere grazie alle braccia degli immigrati, le tirate in TV di un imprenditore xenofobo e razzista producano l’effetto desiderato: tutti i lavoratori extracomunitari spariscono all’improvviso, mettendo in ginocchio l’economia del Veneto e dell’intero paese, e finendo poi col prostrare tutti quegli àmbiti pubblici e privati (grande distribuzione, manovalanza agricola, assistenza domestica agli anziani, personale paramedico e via dicendo) nei quali l’immigrazione fa la parte del leone dopo che da anni i lavoratori italiani hanno smesso di vedere decenza e decoro in alcuni campi professionali considerati degradanti. Idea surreale (pare presa in prestito da “One Day without a Mexican” di Sergio Arau) che per almeno un’ora soggioga anche il più attrezzato degli spettatori, mettendolo di fronte alla cruda realtà di un popolo, quello italiano, ignaro di dipendere in settori di prima necessità proprio da quei concittadini che poi mostra di disprezzare al punto da volersene liberare in toto.
E se il film ha il potere di funzionare, facendo accettare un’idea di partenza che perfino la più strampalata previsione sociologica farebbe fatica ad accettare, è anche perché i personaggi messi in campo da Patierno hanno l’efficacia del calco umano e comportamentale di quanto troppo spesso si vede sui banchi del Parlamento o si sente in TV. E Diego Abbatantuono – cui il regista ha lasciato il guinzaglio lungo permettendogli di gigioneggiare quel tanto che basta per rendere sublime un cafone razzista che aizza i telespettatori con arringhe virulente contro gli immigrati e poi si tiene come amante una prostituta nigeriana di strada che incontra in macchina per non farsi beccare dalla moglie venetissima – ha la capacità di farsi odiare quanto verrebbero odiate analoghe figure “reali” da parte di chiunque abbia a cuore sacri principi quali l’ospitalità, la generosità e la fede nello stato di diritto. Figure pericolosamente simili al personaggio interpretato da Abbatantuono e celebrato fiore all’occhiello non solo della Lega Nord ma anche di molte formazioni pseudo-politiche nate negli ultimi vent’anni all’ombra dello scontento sociale dell’opulento Nord industriale.
La Lega ha storto il naso arrivando addirittura a minacciare un’interrogazione parlamentare per protestare contro l’immagine “distorta”che il film di Patierno offrirebbe della Padania e delle sue genti. Francamente non si riesce a capire il perché: non è infatti questo il Nord xenofobo e intollerante che vive nell’insanabile aporia di volersi liberare della fonte prima del proprio benessere, anche a costo di impantanarsi in un’inestricabile contraddizione in termini?
(di Guido Reverdito)
Cose dell’altro mondo
(Italia, 2011) di Francesco Patierno, con Diego Abbatantuono, Valerio Mastandrea, Valentina Lodovini