Burim Haliti e il Giovane Cinema Kosovaro


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Burim Haliti (foto di S. Bianucci)

La ricchezza della semplicità

Protagonista della sezione Oltre il Confine_Il Giovane Cinema Kosovaro è il regista Burim Haliti autore di Ferraglia (Kosovo, 2007) e Intervista (Kosovo, 2008), proiettati alla 14° edizione del Festival.

Stile semplice e diretto, contenuti attuali e originali, mediometraggi che pur collocandosi nel genere della fiction scattano una fotografia del paesaggio sociale kosovaro.

I suoi abitanti, le sue problematiche, le sue occupazioni territoriali sono catturate dall’obiettivo della telecamera in modo sapiente e mai scontato, raccontate direttamente dalle voci dei pochi protagonisti e sullo sfondo delle minimali e naturali location, seguendo la narrazione di una trama lineare dalle sfumature ironiche e pedagogiche, leggere ma profondamente sociologiche e introspettive.

È la storia di Maksut, padre del piccolo Alban che vede come unica fonte di reddito la raccolta e vendita di rottame di ferro e di altri materiali. Una povertà vissuta nelle difficoltà quotidiane, alimentata giorno dopo giorno dai litigi tra i genitori e le assenze a scuola del ragazzo; una povertà che ha reso cinico e senza scrupoli il protagonista che, nonostante sia un riconosciuto patriota combattente nell’invasione serba, arriva a compiere un’azione sconvolgente per tutto il villaggio sostituendo la statua della scuola frequentata dal figlio al fine di rivenderla in piccoli pezzi per guadagnarne una cifra consistente.

Tra lattine raccolte e giorni di scuola saltati, tra rimproveri davanti all’insegnante e complicità di sguardi, padre e figlio stringono nei 26 minuti di girato un rapporto d’intesa perfetta e profonda che pur ponendosi ai margini degli schemi tradizionali familiari risulta essere l’unica arma vincente nella lotta quotidiana della vita. Ed è così, tra i piedi del cavalletto della telecamera, che lo spettatore vede per l’ultima inquadratura il ritratto di due diverse generazioni dello stesso Paese e delle medesime caratteristiche, degli stessi grandi sogni che si perdono tra i piccoli gesti quotidiani per arrivare a immaginare che ci sia almeno un vicino domani. Occhi che si parlano, pensieri che s’incrociano, cavalletto chiuso e riposto nel camioncino di padre e figlio; anche questa volta, l’astuzia è riuscita.

Tratti di semplice ma efficace ingegno per fronteggiare la povertà kosovara continuano ad essere i protagonisti della seconda pellicola che ci porta indietro nel tempo: 1995, occupazione serba del Kosovo, la popolazione albanese è stata privata della linea telefonica. Il sindaco di alcuni villaggi cerca il modo per rilasciare un’intervista telefonica a un giornale inglese e trova sulle spalle di pochi ragazzotti e con un telefono legato a un palo della luce la soluzione più immediata. Minuti e minuti di conversazione telefonica per spiegare la difficile situazione che gli abitanti del territorio occupato si trovano a vivere ogni giorno. Caldo, sete, fame, nostalgia per i propri cari sul fronte di guerra, tutto è narrato nella semplicità di un dialogo a distanza che trova il suo fine nella stanchezza delle gambe dei ragazzi. E non resta che inquadrare la cornetta del telefono rimasta sospesa tra l’altezza del palo e la grandezza dell’orizzonte tagliato dall’afa dell’alta temperatura.

E se noi italiani, abituati ai grandi set dagli effetti speciali, solo poche volte riusciamo a coniugare la semplicità con l’efficacia, andiamo a scoprire il segreto del fascino cinematografico kosovaro chiedendolo direttamente al suo regista.

Qual’è la situazione del Cinema in Kosovo?
Decisamente giovane e indietro rispetto all’Italia. È nato solo da undici anni, al termine della guerra e questi sono i veri primi passi che si stanno muovendo nella direzione di un buon cinema. Penso e spero di raggiungere al più presto i livelli degli altri Paesi. Per ora dispongo di budget ridottissimi ma cerco di farli fruttare al meglio concentrandomi sul soggetto da narrare.

Dove hai potuto intraprendere gli studi cinematografici?
Ho studiato regia alla facoltà di arte presso l’Università di Pristina. Dal 2004 collaboro con alcune compagnie cinematografiche kosovare, tra l’Albania e la Polonia. Ho lavorato in radio e televisione girando 147 episodi della serie tv Cimerat.

Cosa vuoi raccontare catturando la realtà attraverso l’obiettivo?
La mia terra nei suoi diversi tempi che vedono però come protagonista lo stesso tema sociale e drammatico. Vorrei far arrivare allo spettatore diversi messaggi attinenti la sfera della famiglia, della povertà, della migrazione. Dal punto di vista del kosovaro.

Tempi e curiosità dei film appena visti?
Gli ho scritti in dieci giorni e girati in cinque mesi, scegliendo per entrambi la presenza di mio fratello Xhelal come attore e direttore artistico. Siamo molto legati.

Hai pensato a un sequel dei tuoi lavori?
Si, in particolare vorrei dare a Ferraglia una seconda edizione, questa volta però amalgamando un insieme di generi, dramma, commedia, tragedia, non dimenticando mai la semplicità.

L’Italia come Cinema e Paese, cosa ne pensi?
Adoro questa terra. Amo Federico Fellini e Vittorio De Sica, ho letto e visto molto del cinema italiano. Mi piacerebbe girare un corto nella riserva naturale della riviera, dalle parti di Portofino, è una zona incantevole. Magica e semplice, rurale e sofisticata incredibilmente allo stesso tempo.

Cosa auguri al popolo kosovaro?
La cosa più semplice ma essenziale per vivere felici, il ritrovo di tutte le famiglie che si sono dovute sciogliere per poter sopravvivere, migrando in ogni dove del mondo.

(di Chiara Accogli – foto di Stefania Bianucci)

Hekurishtja (Ferraglia)
(kosovo, 2007)
Soggetto, sceneggiatura, musica e montaggio: Burim Haliti
Genere: Fiction
Durata: 26 minuti

Intervista (L’intervista)
(Kosovo, 2008)
Soggetto, sceneggiatura e montaggio: Burim Haliti
Genere: Fiction
Durata: 20 minuti

Postato in 14° Genova Film Festival, SC-Festival, Spazio Campus.

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