Martedì 12 aprile: la terza e ultima giornata della rassegna “Contra el silencio” ha avuto come tema centrale quello dei migranti e delle migrazioni.
Il primo film presentato, “El Chogul” (Félix Zurita, 2001), nonostante sia un documentario, ha un andamento tutto sommato narrativo, in quanto segue un fratello e una sorella messicani nella loro difficile migrazione negli Stati Uniti, partendo dai paesaggi desolati del villaggio in cui vivono fino ad arrivare alla loro piatta vita da irregolari negli States.
Il fratello emigra perché sogna di diventare un pugile professionista e di guadagnare tanto d’aiutare la sua famiglia, ma diventerà un semplice barista in nero.
La sorella segue il protagonista e si ritroverà con due figli da mantenere e un lavoro squallido per andare avanti.
La vicenda di tale documentario è un decisivo contro altare di certi film hollywoodiani, anche di quelli più critici con la boxe, che fanno vedere comunque in questo sport un’occasione di riscatto e un’opportunità di ricchezza e d’ascesa sociale.
In questo senso, i momenti in cui viene unito il materiale di repertorio (spesso pellicole sul pugilato o vecchi filmati di alcuni incontri) alle riprese attuali risultano davvero efficaci per trasmettere al pubblico i desideri del protagonista e le sue speranze deluse.
Un’altra sequenza molto interessante, sia per le immagini in sé che per il modo con cui vengono montate, è quella dello scavalcamento del muro di frontiera, simbolo dell’ostilità verso i migranti, del tentativo di fermare il loro viaggio e, soprattutto, della limitazione della libertà umana.
Anche le interviste ai migranti sono molto efficaci e significative, basti pensare a due frasi che sottolineano in maniera alquanto chiara le loro idee e le situazioni in cui si trovano, come ad esempio quella pronunciata dall’aspirante pugile “Sono libero di andare in giro per il mondo perché sono un essere umano”, oppure quella della sorella “Sono venuta qua per progredire e ora sto peggio”, in cui ribadisce la forte delusione per una vita che sognava e che invece non si è mai realizzata.
Il dibattito a seguire ha permesso di approfondire alcune tematiche affrontate dalla pellicola, basti pensare alle frasi pronunciate dal sociologo Gilberto Marengo, che ha affermato che lo sport, al contrario di quanto si pensi comunemente, è “al centro delle tensioni sociali e storiche” e che “lo sport è il luogo di riproduzione dell’ordine sociale”. Tutto ciò è appunto dimostrato da “El Chogul”, in cui la boxe è allo stesso tempo veicolo di speranze e causa di frustrazioni.
Notevole anche il secondo documentario della giornata, “Asalto al Sueño” (Uli Stelzner, 2006), coprodotto dalla Germania e dal Guatemala, che parla del difficile (per usare un eufemismo) viaggio di alcuni sud americani che vogliono migrare negli States, affrontando quindi anche le frontiere messicane.
Tutto ambientato nei luoghi di transito (stazioni e centri di “accoglienza”), il film lascia praticamente tutto lo spazio alle voci e alle testimonianze dei migranti, i quali raccontano i motivi del loro viaggio (spesso il sogno americano, in questo senso il titolo è davvero azzeccato) e le difficoltà della migrazione, con i spostamenti pericolosi, i respingimenti, i secondi e i terzi tentativi, ecc,.
Un’osservazione interessante emersa durante il dibattito è stata quella in cui si è notato che il ritmo lento del film corrisponde alle lunghe giornate d’attesa subite dai protagonisti del documentario, e che quindi il montaggio e le scelte registiche sono in questo senso davvero efficaci, anche se non facili e certamente non immediatamente accessibili al pubblico.
Alla fine della giornata, e quindi anche alla chiusura della rassegna, si è annunciato che nel 2013 probabilmente si riuscirà a proiettare tutti i documentari dell’edizione 2012 del festival di Città del Messico.
(di Juri Saitta)