Il più schivo dei registi italiani è anche quello che gode, ormai da quasi cinquant’anni, della maggiore riconoscibilità nazionale e internazionale. Muovendo dalla “periferia” cinematografica milanese per arrivare al suo ritiro di Asiago e alla bottega artigianale di Ipotesi Cinema, Ermanno Olmi ha avuto una carriera dall’andamento carsico, per usare una metafora che affonda le radici in un territorio geografico a lui particolarmente caro. Lunghi periodi di lavoro sotterraneo, interrotti dall’affiorare come autore di film che fanno comunque parlare di sé. Opere che piacciono alla critica e alle giurie dei premi e dei festival che contano, come stanno a dimostrare una Palma d’oro a Cannes (L’albero degli zoccoli), un Leone d’oro (La leggenda del santo bevitore) e uno d’argento (Lunga vita alla signora!) a Venezia, quattro Nastri d’argento, due Donatello e un César, oltre a una miriade di premi minori. Comunque, ogni suo nuovo film fa parlare ed è atteso da tutti con curiosità. E la chiave unificante di una filmografia dagli esiti oggettivamente discontinui è offerta soprattutto dalla parola personalità.
Olmi è un regista che non ama le omologazioni. Preferisce lavorare da solo, circondato da pochi e fedeli amici, scegliendo i temi che di volta in volta lo interessano e mettendoli in scena con i tempi e i modi che più sono congeniali alla sua storia interiore di autodidatta, che ha imparato il mestiere dietro la cinepresa e nelle lunghe ore trascorse alla moviola.
Nato come autore cinematografico all’interno dell’organizzazione industriale del lavoro, Ermanno Olmi ha subito usato il mestiere così appreso per parlare del mondo e della vita che meglio conosceva. Il tempo si è fermato nega ogni sviluppo romanzesco del racconto per privilegiare i gesti quotidiani e le piccole variazioni psicologiche di due operai di diversa generazione che d’inverno fanno i guardiani a una diga vicino all’Adamello. Il posto, che presentato a Venezia gli diede una prima notorietà internazionale, mette a confronto con leggerezza e ironia l’esile ritratto di un adolescente e il desolato mondo impiegatizio. E I fidanzati sembra proseguire nella stessa direzione raccontando “con niente” l’esperienza di un operaio trasferito dalla sua ditta da Milano in Sicilia. Con questa trilogia del quotidiano, Olmi afferma una propria personale visione del mondo, malinconica e “fuori moda” (da qui la contrapposizione con l’”impegnato” Pasolini, costruita negli anni Sessanta dalla critica), ma soprattutto definisce uno sguardo e uno stile. L’attenzione per i particolari, l’umanesimo che traspare nei lunghi primi piani, la modalità ritmica di un montaggio che rifiuta insieme di esibirsi e di appiattirsi sulla realtà.
E’ la definizione di un’idea di cinema che Olmi non abbandonerà più, anche quando – pur con l’intermezzo del trittico televisivo di Racconti di giovani amori – il suo sguardo si volgerà altrove. Alla rievocazione dell’infanzia, della vocazione e delle prime esperienze di papa Roncalli, nel poco riuscito E venne un uomo; alla crisi interiore di un maturo pubblicitario che in un incidente automobilistico ha involontariamente provocato la morte di una persona, nel dolente e commosso Un certo giorno; al partecipato ritratto di un vecchio che ripone il gusto avventuroso della vita nel girare l’altopiano d’Asiago per recuperare i residuati bellici (I recuperanti); alle favolistiche simbologie araldiche di un poco credibile e misticheggiante santo laico (Durante l’estate); alla tormentata analisi della classe borghese e delle sue contraddizioni espressa con modalità narrative quasi sperimentali in La circostanza.
Argomenti molto diversi tra di loro, ma unificati da un’idea fondamentalmente artigianale del cinema, da un gusto pittorico per le inquadrature che ambiscono alla semplicità, da una costante centralità dei personaggi che pur si definiscono attraverso l’ambiente entro il quale si trovano ad agire. Qualità di una non esibita concezione personale del cinema, appunto. Segni di uno stile che non teme di diventare noioso e che trova la propria più compiuta espressione nel lirismo rurale di L’albero degli zoccoli e nella sua rarefatta rappresentazione di un mondo contadino bergamasco che ancora ignora la violenza come la lotta di classe. Ermanno Olmi è un regista dalla sguardo limpido, ma poco interessato alle conflittualità drammatiche. Ama i dettagli e le sfumature, e in queste individua ciò che conta del reale.
Il trionfo internazionale di L’albero degli zoccoli sembra rasserenare il regista, inducendolo a far propri i ritmi delle stagioni del cuore. Da ora in poi, solo opere “necessarie”, per lui. Fare film è solo un punto di arrivo di una lenta sedimentazione interiore, perché il mestiere si affina e si pratica altrove. Soprattutto nella bottega di Ipotesi Cinema, fondata nel 1982 da un’idea sua e di Paolo Valmarana. Qui si parla, si sperimenta, ci si confronta. Al grande schermo si arriva solo quando lo si ritiene necessario. Inseguendo con i tre Re Magi la stella polare di una religiosità che non ha più bisogno delle istituzioni e del potere clericale (Cammina cammina) o guardando con gli occhi poco ironici della gioventù gli inutili riti del potere (Lunga vita alla signora!) o rileggendo a modo proprio il romanzo breve della Leggenda del santo bevitore, in cui Joseph Roth racconta, sullo sfondo di una Parigi paesaggio dell’anima, l’esistenziale viaggio verso la restituzione del debito della vita, di cui è protagonista un barbone alcolizzato. Con quest’ultimo film, giudicato da molti la sua opera più matura, Olmi ottiene il suo secondo grande successo internazionale e si avvia lentamente verso la fine de secolo, consegnando al grande schermo solo un altro film (Il segreto del bosco vecchio) che fatica però a coniugare la favola con l’oratoria, la suggestione lirica con un certo accademismo estetizzante.
Poi, con il nuovo millennio, egli si rivolge ancora altrove pur rimanendo rigorosamente fedele alla sua idea di un cinema senza concessioni spettacolari. Ed ecco allora che la rivisitazione della storia attraverso l’agonia di Giovanni dei Medici, capitano di ventura al soldo dello zio Clemente VII (Il mestiere delle armi), sembra guardare più al rigore estetico di Tarkovskij che alla realistica semplicità di Rossellini; mentre il favolistico Cantando dietro i paraventi assume i toni aspri e non conciliati di un duro apologo pacifista, non insensibile ai modelli stilistici orientali. Personalità, si diceva. A Olmi capita di sbagliare un film, ma mai di non essere personale. Ed anche per questo ogni sua nuova opera rappresenta un piccolo evento. Ora, inutilmente atteso all’ultima Mostra di Venezia, sta per uscire quel Centochiodi da lui girato sul Po quasi due anni fa, che segna il suo ritorno tematico alla modernità con la fuga dal quotidiano di un giovane professore della filosofia delle religioni. E si può essere sicuri che l’ormai settantaseienne Olmi saprà dire ancora una volta qualcosa d’intimamente necessario. Forse anche di esteticamente compiuto. Sicuramente di personale.
(di Aldo Viganò)
Chi è
Ermanno Olmi nasce a Bergamo il 24 luglio 1931 da genitori cattolici di origine contadina. Il padre muore durante la guerra e la madre trova lavoro alla Edison Volta, dove all’inizio degli anni Cinquanta approda anche Ermanno, reduce da un corso di studi molto disordinato e incompiuto (liceo scientifico, liceo artistico, Accademia d’Arte Drammatica di Milano). Assegnato all’Ufficio Approvvigionamenti, si occupa ben presto delle attività ricreative dell’azienda, dirigendone dapprima la compagnia filodrammatica e poi, dal 1954, occupandosi del suo “Servizio Cinema”, per il quale realizza alcune decine di documentari, cui collaborano anche Goffredo Parisi, Pier Paolo Pasolini e Tullio Kezich. Esordisce nel lungometraggio con Il tempo si è fermato (1959) e, in seguito, svolge anche un’intensa attività televisiva, dirigendo documentari e inchieste di carattere storico-sociale. Dalla seconda metà degli anni Sessanta, sceglie di vivere ad Asiago in compagnia della moglie Anna Canzi, già protagonista del suo secondo lungometraggio I fidanzati. Nel 1982 fonda a Bassano del Grappa la scuola “Ipotesi cinema”.
ERMANNO OLMI IN PRIMA PERSONA
Cristianesimo
■ La definizione di aspirante cristiano mi va benissimo. E’ quello che ho sempre affermato anche quando, fin dalle mie prime opere, mi hanno classificato, catalogato, come cattolico apostolico romano.
Documentario
■ Non è soltanto il far passare attraverso una serie di inquadrature un’informazione su una determinata realtà; qualche volta il documentario è il montaggio poetico, da parte di un autore, di immagini della realtà e, in questo caso, diventa non più soltanto un’informazione, ma un’autentica comunicazione
Sceneggiatura
■ Io scrivo molte cose, molte; dopo di che, mentre giro il film, modifico continuamente, tanto che ogni giorno io riscrivo. Perché? Ma perché la realtà per fortuna va continuamente modificandosi. Allora perché non devo cambiare?
■ Per fare un film anzitutto metto a fuoco un tema. Sul tema raccolgo disordinatamente una qualtità di materiale che lo riguarda. Tutto questo materiale lo elaboro durate la fase di realizzazione del film. Non scrivo la sceneggiatura perché essa sarebbe per me un vincolo spaventoso, un grosso limite. Sarebbe cose se un musicista di jazz scrivesse la musica prima di suonare…
Cinema
■ Il mio cinema corrisponde al mio modo di guardare, alla vita. Nel momento in cui entro in una stanza, io do un’occhiata sommaria all’insieme, perché quello che mi interessa sono proprio i dettagli, i primi piani; perché attraverso i dettagli, i primi piani, tu capisci l’essenza di un’esistenza. Il riprendo sempre i volti. Per me il volto di un uomo non è solo la sintesi dell’uomo che possiede quel volto, ma è la sintesi della storia universale.
■ Il mio non è un cinema che deriva del cinema, ma un cinema che prende le mosse dalla realtà, dalla vita, per cui il cinema è solo uno strumento attraverso il quale io convivo con me stesso e con gli altri.
Registi
■ Rossellini mi influenzò moltissimo. Non era solo un uomo di cinema, ma un uomo di cultura che usa il cinema per una proposta culturale.
■ Credo che Pasolini sia stato una delle figure più significative, più incisive, di questi anni. Con lui parlammo molto di cinema, non in senso tecnico, ma dicome l’autore deve porsi nei confronti della realtà.
■ Fassbinder non mi ha conquista to per un cinema scandalistico o provocatorio, ma per un cinema di lucida osservazione della realtà, incurante di qualunque lusinga di tipo spettacolare, al punto di essere lui stesso, con la sua carne, materia dei suoi film. Io lo ritengo uno dei porti sicuri dove vado a rifugiarmi quando sono giù di corda.
Arte
■ L’artista deve aiutare a capire.
■ Mi interessa la vita più che il racconto. Cioè la possibilità di raggiungere un risultato di assoluta credibilità nelle dimensioni e con il ritmo diverso del cinema.
Lavoro
■ La mia formazione nell’azienda è stata la base del mio rapporto con il cinema. Già in alcuni documentari c’è il tentativo di rappresentare il mondo del lavoro con un tagli particolare: quello dell’osservazione dell’uomo e dei suoi rapporti personali nell’ambito delle attività lavorative. Anche i i miei primi tre lungometraggi riguardano questo tema e registrano il cambiamento avvenuto tra gli anni ’50 e gli anni ’60, tra l’inizio e la fine del boom economico.
Pubblico
Per me il pubblico è il destinatario che esige tutto il rispetto. Perché recitare un ruolo che non è mio per farmi accettare? Io mi presento al pubblico con la problematica che ho dentro, anche se è ovvio che questa problematica risente di fattori che vengono dall’esterno. Non voglio ingannare il pubblico attraverso quelle astuzie che rientrano nel cosiddetto “spettacolo”.
Futuro
■ Io dimentico abbastanza facilmente i miei film e butto via tutto: non conservo una riga, non cosnservo i copioni, non conservo i giornali. Niente. Per me ogni mattina deve essere una giornata completamente nuova. Non ho legami con le cose fatte.
■ Mi piace immaginare un’epoca in cui prevalgano speranza e fiducia in grado di trasformare i dubbi in certezze.
■ Ha ragione Leopardi: l’anno più bello è sempre quello futuro, ma solo avendo vissuto il passato è possibile scegliere le speranze giuste.
Le dichiarazioni di Ermanno Olmi sono tratte da interviste rilasciate nel corso degli anni, e pubblicate su diversi giornali o riviste.
Filmografia
Documentari
1953: La diga sul ghiaccio
1954: La pattuglia di Passo San Giacomo
1955: Società Ovesticino-Dinamo – Cantiere d’inverno – La mia valle – L’elergia elettrica nell’agricoltura – Il racconto dello Stura – La tesatura meccanica della linea a 220.000 volt Santa Massenza-Cimego – L’onda – Buongiorno natura – Il pensionato
1956: Pantano d’Avio – Manon: finestra 2 – Michelino 1 AB – Costruzioni meccaniche Riva – Perù, Istituto de verano – Fertilizzanti complessi
1957: Fibre e civiltà – Progresso in agricoltura – Campi sperimentali – Grigio
1958: Colonie Sicedison – Barirì – Tre fili fino a Milano – Giochi in colonia – Il frumento – Venezia città moderna
1959: El Frayle – Fertilizzanti prodotti dalla società del gruppo Edison – Cavo olio fluido 220.000 volt – Alto Chiese – Natura e chimica
1960: Il grande paese d’acciaio
1961: Il pomodoro – Il sacco di plypac – Le grand barrage – Un metro è lungo cinque – Po: forza 50.000.
Televisione
1963: In occasione del VII centenario Antoniano: Settecento anni
1964: Dopo secoli
1967: Giovani (sei puntate) – Cento anni della Galleria – Quest’estate: ritorno al paese – La Borsa
1970: Chi legge in Italia: dibattito su Don Milani
1971: La Costituzione
1972: Le radici della libertà
1973: Nascita di una formazione partigiana
1974: Alcide De Gasperi (tre puntate).
Lungometraggi
1959: Il tempo si è fermato
1961: Il posto
1963: I fidanzati
1965: E venne un uomo
1967: Racconti di giovani amori
1968: Un certo giorno (Tv)
1969: I recuperanti (Tv)
1971: Durante l’estate
1973: La circostanza
1977: L’albero degli zoccoli
1983: Cammina cammina
1987: Lunga vita alla signora!
1988: La leggenda del santo bevitore
1993: Il segreto del bosco vecchio
1994: Genesi: La creazione e il diluvio (Tv)
2000: Il mestiere delle armi
2003: Cantando dietro i paraventi
2004: Tickets (episodio)
2006: Centochiodi