Il merito di aver imposto all’attenzione della critica e del pubblico italiano il nome di Mike Leigh, in tempi ancora lontani dagli allori di Cannes e molti anni prima del recente trionfo veneziano, spetta innanzitutto al Sindacato Nazionale Critici Cinematografici che nel 1988 presentò con ottimo successo alla Settimana della critica di Venezia Belle speranze, il film con cui il regista inglese tornava al cinema dopo diciassette anni di ritiro televisivo; ma poi si deve al Bergamo Film Meeting il primato di aver proposto una ricca rassegna informativa che permise di far meglio la conoscenza di questo eccentrico regista (allora già cinquantenne), con dietro le spalle una lunga esperienza teatrale e tanto successi televisivi. Era il 1993, e al di là della Manica erano ancora ben evidenti gli effetti devastanti, soprattutto sulle classi meno abbienti, della politica sociale ed economica dei governi della Thatcher, tanto che l’ambientazione prevalentemente operaia e “di sinistra” dei film di Leigh suggerì quasi subito una collocazione della sua opera nello stesso ambito anti-thatcheriano nel quale veniva allora in modo alquanto schematico ricondotta tutta l’opera di Ken Loach, che come lui proveniva da una lunga esperienza televisiva. Ora, è pur vero che Momenti neri è ambientato nel degrado della periferia londinese, che il protagonista di Belle speranze è un uomo con nostalgie di sinistra il quale vorrebbe un mondo in cui tutti possano avere “un lavoro, una casa e qualcosa da mangiare”, che Dolce è la vita parla di disoccupazione e di sogni infranti, e che Naked mette in scena una gioventù sradicata e vagabonda, sfiduciata del domani; ma, a ben vedere, il cinema di Leigh non ha mai il proprio centro d’interesse nell’assunto tematico, quanto piuttosto nel rapporto della sua cinepresa con la vita che passa soprattutto attraverso la recitazione degli attori.
Autore di un cinema molto meno ideologico e programmatico di quello di Ken Loach, Mike Leigh sembra interessato soprattutto all’osservazione degli esseri umani e alle loro sollecitazioni emotive, colte in un ambito scenografico ben preciso. Nulla di esplicitamente sociale, pertanto; ma neppure di troppo dichiaratamente psicologico. Stando sempre molto addosso ai personaggi, la sua cinepresa ne documenta i rapporti reciproci e le reazioni comportamentali, ne descrive gli stati d’animo e le variazioni emotive; ma rifugge da ogni contaminazione o illusione documentaristica. Il suo occhio cinematografico “riceve i personaggi, non li segue e non li cerca” è stato giustamente scritto; e ciò può accadere perché gli esseri umani che sono sempre al centro dei suoi film non hanno nulla a che fare con il neorelismo, non sono momenti rubati alla vita, bensì attori che costruiscono sullo schermo i loro personaggi, arrivando da lunghe settimane di prove e di improvvisazioni, organizzate con tecniche che rinviano a una pratica molto teatrale, ben saldandosi alla lunga consuetudine con la scena di Leigh. Si è scritto molto intorno alla preparazione suoi film, tanto da dare origine anche a una fiorita anedottica, che Emanuela Martini (curatrice della già citata rassegna bergmasca) così ricorda: “dall’attore che, per interpretare un personaggio assente da otto anni, sparì per dieci giorni, tornò con la barba e non fu riconosciuto da nessuno dei suoi compagni, ai due che, nei panni di una coppia male assortita, fecero una passeggiata di venti chilometri interpretando per tutto il tempo i personaggi”. Il fatto è che la tecnica applicata da Leigh alla recitazione ha sì radici molto profonde nella pratica teatrale, ma non necessariamente si salda con la tradizione stanislavskijana. Per l’attore convocato alle sue prove (per ogni film, si parla di circa tre mesi di preparazione), non si tratta tanto di diventare il personaggio (l’Actor Studio è lontano da Londra), ma d’imparare a distillarne da se stesso l’essenza senza preoccupazione di definirne troppo i contorni (psicologici e narrativi), perché questo è compito specifico dell’occhio del cinema, che, solo, può far vivere sullo schermo il senso ultimo di quel continuo alternarsi di dialoghi e di silenzi, di violenza e tenerezza che attraversano tutti i film di Leigh. Da quelli esplicitamente televisivi (sovente a soggetto e interpretati da autorevoli attori teatrali quali Brenda Blethyn o Alison Steadman, musa ispiratrice e moglie di Mike Leigh) a quelli votati al grande schermo e quasi tutti filtrati dalla vetrina dei grandi festival internazionali.
A ben vedere, nella filmografia di Leigh non c’è soluzione di continuità tra teatro, televisione e cinema. L’evoluzione, caso mai, è tutta all’interno del divenire umano e culturale del regista, che, pur in una sostanziale unità stilistica, lo porta progressivamene a guardare in modo diverso la vita. Dal radicale pessimismo delle opere più giovanili all’apertura verso un futuro più aperto e disponibile, quale traspare nel pur doloroso incontro tra madre e figlia di Segreti e bugie o nei dialoghi tra trentenni in carriera (Ragazze) ossessionate dal trascorrere del tempo o anche nelle tribolzioni dei tre nuclei familiari che abitano il condominio popolare di Tutto o niente, sino all’affresco popolare costruito intorno al tema dell’aborto nel recentissimo Il segreto di Vera Drake. Quello che comunque permane sempre ben individualizzato e individuabile in tutti i film di Mike Leigh – anche quelli apparentemente lontani nel tempo,quale Topsy-Turvy, ambientato nella Londravittoriana – è l’idea di un cinema fatto essenzialmente per raccontare le storie degli uomini: un cinema lontano da ogni tentazione calligrafica e interamente votato a proporsi allo spettatore come uno specchio della verità.
(di Aldo Viganò)
Chi è
Mike Leigh nasce il 20 febbraio 1943 a Salford, nel Lancashire. Frequenta la Royal Academy of Dramatic Arts e poi studia scenografia alla Central School of Art and Design e recitazione alla London Film School. Scrittore e regista di teatro, negli anni Sessanta diventa aiuto regista di Peter Hall alla Royal Shakespeare Company e poi inizia a lavorare in proprio al Manchester Youth Theatre e alla E 15 Acting School di Londra, dove elabora un proprio metodo di insegnamento della recitazione, fondato essenzialmente sull’approfondimento del personaggio. Dopo qualche esperimento alla televisione, debutta nel cinema nel 1971 (Momenti neri), ma senza molto successo tanto che nei seguenti diciassette anni lavorerà solo per la televisione. Il suo ritorno al cinema avviene nel 1987 con Belle speranze. Vincitore del premio per la migliore regia con Naked a Cannes nel 1993, tre anni dopo vi vince la Palma d’oro con Segreti e bugie. La storia di Vera Drake ha conquistato il Leone d’oro e il premio per la migliore interpretazione femminile all’ultima Mostra di Venezia.
LA VITA E LA SUA MESSA IN SCENA
“Mi ritengo un film-maker che fa occasionalmente dei film per la televisione, ma la mia vera passione è il cinema, che è il mio amore e la mia gioia anche come spettatore. Amo tutte le possibilità che il cinema può offrire, compresa quella di poter girare nei luoghi reali”. Il cinema innanzitutto, e per un regista che è nato come autore teatrale e che per quasi vent’anni ha lavoroato solo alla televisione, non si tratta certo di un’affermazione di poco conto. Anche se poi è facile notare che Mike Leigh ha un’idea molto televisiva del cinema: privilegia il realismo e tende a considerare la sceneggiatura solo un pretesto che assume un senso tramite il lavoro degli attori, ma rifiuta di essere confuso col documentario o con la testimonianza in presa diretta. “Non si tratta di improvvisazione o di un puro esercizio”, sottolinea il regista. “Mettere in scena momenti che nascono dalla loro esperienza personale serve agli attori per comprendere le basi sulle quali si fondano le relazioni tra i personaggi. Perciò interpretano un episodio dopo l’altro, giorno dopo giorno, finché, settimana dopo settimana, abbiamo attraversato le scene di tutta una vita. Un procedimento che può essere un po’ inquietante. In pratica si tratta di creare un microcosmo tridimensionale, improvvisando per un periodo molto lungo, e poi distillando da questo il prodotto finito. Si tratta di scoprire il succo del film o della commedia facendoli. Non è un lavoro di gruppo, né un ‘vediamo cosa succede e andiamogli dietro’. E non si tratta neppure di girare un sacco di pellicola, lasciando improvvisare gli attori. Nei miei film, il 98% del materiale è strutturato. Nei miei lavori teatrali non c’è assolutamente nulla di improvvisato. Io dirigo tutto, controllo tutto, manipolo tutto per renderlo omogeneo,drammatico e pieno di significato”. Quello che però non gli piace proprio è “vedere il bianco e nero delle cose: non mi piacciono i film con tesi manichee. Con Vera Drake, ad esempio, spero di aver sollevato un dilemma morale: Vera è innocente o colpevole. Io non do risposte, dico soltanto che agiva in buona fede, convinta ndi fare del bene alle ragazze e di aiutarle in modo disinteressato. Il fatto è che, anche se Vera Drake è un personaggio di finzione, non è mai esistita nella realtà, migliaia di donne nel Regno Unito hanno fatto quello che ha fatto lei e la sua storia è tratta da quello che accade ancora in molte parti del mondo”. La finzione e la realtà: tutto il cinema di Mike Leigh è costruito sul sottile crinale che le separa. Ma che angolazione priilegia il suo sguardo? “L’ipotesi avanzata da qualche critico che, da Life is Sweet in poi, io sia diventato più ottimista mi fa sentire un po’ a disagio”, spiega Mike Leigh. “Credo che sia semplicistica. Se pensate ai miei primi film, tutti tendono implicitamente a suggerire che la vita potrebbe essere migliore. Ciò che è cambiato, riguarda solo il mio rapporto personale con il mondo, a causa dell’avanzare degli anni. In maniera molto personale, alcuni dei miei film appartengono al mio periodo pre-paterno, e altri al mio periodo post-paterno. Via via che s’invecchia, in un certo senso la vita diventa molto più complessa, molto meno ‘bianco e nero’. Sono comunque ben cosapevole che uno dei temi che attraversa tutti i miei film sia la disperata impossibilità di essere fedeli a se stessi, in netto contrasto con quello che gli altri si aspettano da noi e con ciò che consegue dal ruolo che ci hanno appoppiato”.
Le dichiarazioni di Mike Leigh sono tratte da interviste rilasciate nel corso di trent’anni, e pubblicate su diverse riviste italiane e straniere.
Filmografia
Cinema
1971: Momenti neri (Bleak Moments)
1988: Belle speranze (High Hopes)
1990: Dolce è la vita (Life Is Sweet)
1992: Un senso della storia (A Sense of History)
1993: Naked (idem)
1996: Segreti e bugie (Secrets & Lies)
1997: Ragazze (Career Girls)
1999: Topsy-Turvy (idem)
2002: Tutto o niente (All or Nothing)
2004: Il segreto di Vera Drake (Vera Drake).
Televisione
1964: The Wednesday Play (serie tv)
1970: Play for Today (serie tv)
1972: A Mug’s Game (Un gioco di precisione), programmi scolastici
1973: Hard Labour (Lavori forzati)
1975: The Permissive Society (La società permissiva) – The Five Minute Film (I film da cinque minuti), cinque corti da cinque minuti
1976: Nuts in May (Matti in maggio) – Knock for Knock (Colpo per colpo)
1977: The Kiss of Death (Il bacio della morte) – Abigail’s Party (La festa di Abigail)
1979: Who’s Who (Il “Chi è”)
1980: Grown-Ups (Adulti)
1982: Home Sweet Home (Casa dolce casa)
1983: Mentime (Nel frattempo)
1985: Four Days in July (Quattro giorni in luglio)
1987: The Short and Curlies (Corti e ricci)
2003: Cinema 16
Testi teatrali
1965: The Box Play
1966: My Parents Have Gone to Carlisle – The Last Crusade of the Five Little Nuns
1967: Nenaa
1968: Individual Fruit Pies – Down Here & Up There
1969: Big Basil – Glum Victoria and Lad with Specs – Epilogue
1970: Bleak Moments
1971: A Rancid Pong
1973: Wholesome Glory – The Jaws of Death – Dick Whittington and His Cat
1974: Babies Grow Old – The Silent Majority
1977: Abigail’s Party
1979: Ectasy
1981: Goose Pimples
1988: Smelling a Rat
1989: Greek Tragedy.