Emir Kusturica


Emir KusturicaAutore di un cinema barocco come quello di Orson Welles e immaginifico come quello di Federico Fellini, Emir Kusturica dice di aver sempre sognato di riuscire a mettere in scena un’opera semplice e rigoroso come sono i film di Jean Vigo; ma la sobrietà e la semplicità restano virtù fondamentalmente estranee al suo gusto per l’eccesso, che affonda le radici non solo nella sua mentalità personale, ma anche nella sua cultura, sempre sospesa tra passione sociale e anarchia gitana.

Al centro della sua filmografia – poco affollata di titoli (otto lungometraggi in ventotto anni), ma incoronata di numerosi premi internazionali – sta Underground: un film in tutti i sensi esagerato. Per lunghezza: tre ore e cinque minuti. Per assunto narrativo: durante la seconda guerra mondiale, un partigiano arricchitosi con la borsanera convince parenti e amici a rifugiarsi in un sotteranneo, dove questi continueranno sino agli anni Sessanta a fabbricare per lui armi e altri prodotti da mercato nero, perché egli continua far loro credere che la guerra continua. Ma esagerato anche per l’audacia delle soluzioni cinematografiche adottate, per la costruzione essenzialmente musicale del montaggio e per la ridondanza della struttura narrativa, in cui tutto si mescola: ideologia ed emozione, attenzione ai personaggi e divagazione onirica, musica popolare e visualità espressionista. Un pasticcio ben amalgamato, comunque, in cui le citazioni attinte alla rinfusa dalle arti figurative come dalla storia del cinema, sortiscono un film che, come ricorda il critico Morando Morandini, ha fatto parlare di un Alice nel paese delle meraviglie riscritto da Franz Kafka per le scenografie di Hyeronimus Bosch e Marc Chagall, con Francis Bacon come direttore della fotografia. Girato nel pieno della guerra serbo-bosniaca, Underground ha dato origine a polemiche furiose da parte di coloro che vi hanno visto un’opera compromessa con il regime di Milosevic, ma resta soprattutto un film dionisiaco e viscerale, attraversato da quella euforia vitalistica che contraddistingue le note migliori di tutta la filmografia di Kusturica.

Già nei suoi primi due film (Ti ricordi di Dolly Bell? e Papà è in viaggio d’affari), evidentemente influenzati dal modello del neorealismo italiano (entrambi raccontano le contraddizioni politiche e sociali del regime di Tito, nel corso del quale il regista ha trascorso la sua infanzia), Kusturica aveva dato evidente prova della sua insofferenza a rimanere rinchiuso dentro ai confini della oggettività dello sguardo, valicandone continuamente i limiti (grazie anche alla collaborazione con lo scrittore e poeta Abdulah Sidran, come lui serbo-musulmano), attraverso l’uso ipnotico della musica e della ricerca di un suo equivalente sul piano delle immagini, accompagnate, montate e strutturate su ritmi rock (con evidente reminescenza felliniana, in Dolly Bell risuonano anche le note di Ventiquattromila baci cantate da Celentano). Ma è soprattutto a partire da Il tempo dei gitani e con il suo incontro con il musicista Goran Bregovic, che Kusturica individua nella musica tzigana la fonte più idonea per strutturare sul grande schermo quel ”irrealismo della realtà” che è stato sempre al centro dei suoi interessi estetici e che aveva cercato più volte di sintetizzare nella metafora narrativa dei pesci volanti. Con la complicità di Bregovic, Kusturica concepisce e mette in scena anche i suoi due film seguenti (l’americano Arizona Dream e il già citato Underground), ma l’influenza di Goran rimane latente anche in tutte le opere che verranno dopo, musicate personalmente o con altri collaboratori. Mescolanza di classico e di moderno, lunghe sequenze melodiosamente costruite su un ritmo incalzante, ma anche ben disposte a rompersi d’improvviso per dare vita a sempre nuove strutture armoniche che nel loro insieme determinano il senso del discorso: sono queste, infatti, il vero contenuto non solo di Underground e della stravagante divagazione americana compiuta con Arizona Dream, che travolge in un clima onirico e surreale un cast d‘eccezione (Johnny Depp, Faye Dunaway, Jerry Lewis, Lili Taylor, Vincent Gallo), strutturandolo intorno alla ricerca dei pilastri della “american way of life”; ma anche dei film che segnano il suo ritorno al mondo dei gitani (Gatto nero, gatto bianco) e alla guerra serbo-bosniaca (La vita è un miracolo).

Gatto nero, gatto bianco, musical incastonato sullo sfondo della storia contemporanea della penisola balcanica, è una commedia in cui tutto si mescola sotto il segno di un cinema che insegue la vitalità del montaggio più che gli effetti speciali o la coerenza narrativa. Fantasia e storia, lotta per clan mafiosi e violenza individuale, le armi e il sogno (i battelli che scivolano sul fiume), la droga e l’amore (i due giovani protagonisti che si rincorrono tra i girasoli), il più crudo realismo e la favola (il colpo di fulmine tra il gigante e la nana): ancora una volta tocca alla musica il compito di riportare il tutto all’interno di un coerente sviluppo affabulatorio, agendo insieme da motore e da argine dell’estro creativo di un autore che proprio nel disordine sa dare il meglio di sé. Come del resto accade anche in La vita è miracolo, dove lo stesso sguardo d’autore sulla “naturale” follia degli esseri umani, non solo si veicola lungo i consueti temi della guerra e dell’amore, ma giunge anche a dar vita a un personalissima arca di Noè (un asino innamorato, gatti affamati e cani avventurosi, un orso un po’ troppo invadente) che fa da specchio all’assurdità di quanto

storicamente sta accadendo intorno all’incompiuta galleria di vitalitàgiolean way of life”,tri rsi in un dribbling incontrastabile o in un goal imparabile, ora perfidamente diabolico e orquella montana linea ferroviaria: bombardamenti e distruzioni, truppe che passano nella livida notte sotto la pioggia, la ragazza che l’esercito serbo affida proprio alla custodia dell’ingegnere che quella ferrovia aveva fortemente voluto, per un programmato scambio con suo figlio fatto prigioniero dai bosniaci. Nessun lirismo o messaggio predicatorio, solo molta concretezza fisica. Quasi un ritorno a quel universo di pulsioni elementari, che ben si rispecchiano nello zoo di Kusturica, non ancora complicate dal pensiero e dalle passioni di una umanità che solo nel vitale ritmo della musica gitana riesce anche questa volta a trovare la propria sintesi espressiva. Così è il cinema secondo Kusturica. Contraddittorio e a volte schematico. Sempre esagerato. Un cinema nel quale le sfumature non riguardano mai i contenuti quanto i ritmi e le forme. Proprio come accade nella vita (anche questa “esagerata”) dell’amato Maradona, protagonista del suo ultimo film apparentemente documentaristico, per il quale i disordinati eccessi esistenziali possono sempre sublimarsi in un dribbling incontrastabile o in un goal imparabile: divinamente diabolico o perfidamente angelico, che sia.

(di Aldo Viganò)

Chi è
Emir Kusturica nasce a Sarajevo il 24 novembre 1954 da una famiglia serba di religione mussulmana. Cresciuto nell’ambiente multiculturale della Jugoslavia di Tito, inizia a occuparsi di cinema già molto giovane e, dopo il liceo si trasferisce da una zia a Praga, dove s’iscrive all’Accademia del Cinema FAMU), diventando tra l’altro allievo di Jiri Menzel. Si diploma nel 1977 con il cortometraggio Guernica che l’anno seguente vince il primo premio al Festival di Karlovy-Vary. Tornato in Jugoslavia, inizia a lavorare per la televisione di Serajevo, dove realizza anche alcuni cortometraggi. Nel 1981, il suo primo lungometraggio, Ti ricordi di Dolly Bell?, vince il Leone d’oro per la migliore opera prima alla Mostra di Venezia. Kusturica è un regista che diventa subito un beniamino dei festival internazionale: Ti ricordi di Dolly Bell? vince anche il premio Fipresci; Papà è in viaggio d’affari ottiene la Palma d’oro al festival di Cannes del 1984, il Gran premio internazionale della critica, la Grande Arena d’oro al festival di Pola e viene candidato all’Oscar come migliore film straniero; Tempo dei gitani riceve il premio speciale per la migliore regia a Cannes 1989; Arizona Dream, girato negli Usa, vince l’Orso d’argento e il premio per la migliore regia al Festival di Berlino 1993; con Underground ottiene la sua seconda Palma d’oro a Cannes; Gatto nero, gatto bianco viene premiato con il Leone d’argento per la migliore regia alla Mostra di Venezia 1998. Dal 1985 al 1988, Kusturica insegna all’Accademia d’Arte Drammatica di Serajevo. Nel 1989, è chiamato negli Stati Uniti da Milos Forman, conosciuto alla FAMU, come “adjunct professor” di regia cinematografica alla Columbia University di New York. Già dalla fine degli anni Ottanta inizia a suonare il basso come professionista nel gruppo punk e “neoprimitivo” No smoking Orchestra. Kusturica è apparso come attore, oltre che in alcuni suoi film, anche in film firmati da altri, quali L’amore che non muore (2000) di Patrice Leconte, Triplo gioco (2002) di Neil Jordan, Hermano (2006) di Giovanni Robbiano, Viaggio segreto (2006) di Roberto Andò.

CINEMA E PESCI VOLANTI
◘ Quando studiavo a Praga – una città barocca, favolosa – e passeggiavo la domenica sognando di ritornare a Sarajevo, ero un po’ intimidito, spaventato da quella grande tradizione culturale che non c’era nel mio paese natale. Mi sentivo come un pesce volante nelle strade deserte… E quella stessa impressione di essere un pesce l’ho conosciuta negli Stati Uniti, dove le domeniche sono ancora più dure che nell’Europa dell’Est. Pertanto, ho voluto, con la metafora del pesce volante, esprimere quel passaggio dell’uomo lungo le strade che è come attraversare la Storia: credere di comprendere qualcosa, quando non so comprendere assolutamente niente.
◘ La mia infanzia e la mia giovinezza – come si può del resto vedere nei miei primi film – sono, nel mio ricordo, delle immagini molto intense.
◘ Ciò che nel cinema mi interessa di più è un fatto puramente formale: che a un’immagine ne succede un’altra, ecc. Il cinema è un’interpretazione sintetica della vita.
◘ Il sogno è ciò che preserva la vita. Si possono cercare delle spiegazioni storiche, sociologiche, psicologiche alle questioni fondamentali dell’uomo, non si troveranno mai delle risposte definitive. Perché non esistono risposte definitive. Siamo spinti a razionalizzare ogni cosa, ma sono i sogni che vestono le nostre vite. Anche se cerchiamo di conquistare l’universo, se arriveremo su altri pianeti, credo che l’uomo sia un pesce che nuota nelle strade vuote della città…giche alle questioni fondamentali dell’rende assolutamente ni
◘ Credo che alcune cose debbano allontanarsi dalla legge di gravità terrestre. L’amore non deve essere sottomesso a una cosa così stupida come la gravità. Il cinema deve sollevarci, strapparci alla pesantezza della terra. Come filmare un colpo di fulmine fra due persone? Bisogna sollevarli. Questo è cinema! Credo che l’amore si possa mostrare meglio facendo levitare due persone per aria che non facendo loro dire delle banalità come “ti amo”.
◘ La levitazione è una bella metafora della spiritualità, dell’arte e del modo in cui bisogna trattare il proprio pubblico. Il pubblico deve essere sollevato da terra con tutti i mezzi: energia, effetti visivi, emozioni… Bisogna soffiare la vita dentro un film. Registi come Jean Vigo o René Clair sapevano farlo splendidamente.
◘ Ciò che so del montaggio, l’ho appreso da Fellini. Quando studiavo a Praga, guardavo i suoi film e vedevo come utilizzava il montaggio parallelo per raccontare una scena in un unico luogo. Lui lavora più su una struttura epica che su una drammatica. Ciò significa che deve dare velocità alla scena. L’energia che infonde conducendo contemporaneamente tre o quattro racconti crea una dinamica che vi trascina alla scena successiva.
◘ Fare cinema mi ha fatto perdere l’innocenza, e molte altre cose! Ma evidentemente, grazie all’arte e alla sua natura si conquista la capacità di scegliere le cose più importanti e di mettere ordine in se stessi. Così, ho perso davvero la mia innocenza, ma nello stesso tempo, e quasi in modo selvaggio, ho trovato le risorse per ricostruire la mia vita e per renderla più forte. Il cinema mi aiuta a conservare la memoria della realtà.
◘ Non ho più sentimenti nazionali. Prima ero jugoslavo e mi trovavo bene tra le nostre differenze religiose e culturali. Ora sono come i gitani dei miei film. Non mi resta che il cinema. Come diceva Marilyn Monroe: “Io abito nei miei film!”.
◘ Ciascuno dovrebbe avere la propria religione privata. I miei film sono la mia. Ho sempre sacrificato tutto ai miei film, ho dato loro tutto ciò che avevo, fisicamente e mentalmente.
◘ In linea di principio, non amo i film politici, preferisco che gli avvenimenti storici servano da background ad altre situazioni. Non potrei creare senza aggiungere un aspetto satirico. E’ un modo per salvarsi da questa vita non molto felice. L’arte è testimone della vita, ma non ne è l’espressione.

Le dichiarazioni di Emir Kusturica sono tratte da sue interviste rilasciate nel corso degli anni. In particolare da quella con Lorenzo Codelli (Positif n.296, octobre 1985) e da quelle citate nelle monografie a cura di Giorgio Bertellini (Dino Audino Editore, Script/Leuto n. 28 e Il Castoro Cinema n. 179).

Filmografia
Cortometraggi
1971:
Una parte della verità (Dio istine)
1972: Autunno (Jesen)
1977: Guernica
1997: Magic Bus

Film Tv
1978: Arrivano le spose (Nevjeste dolaze) – Bar Titanic (Bife Titanic)
1995: Bila jednom jedna zemlja (tre episodi)
2006: Zivot Je Cudo (mini serie)

Lungometraggi
1980:
Ti ricordi di Dolly Bell? (Sjecas li se Dolly Bell?)
1985: Papà è in viaggio d’affari (Otac na sluzbenoh putu)
1989: Il tempo dei gitani (Dom za vesanje)
1993: Arizona Dream (Arizona Dream – Il valzer del pesce freccia)
1995: Undreground: C’era una volta un Paese (Podzemlje: Bila jednom jedna zemlja) – 1998: Gatto nero, gatto bianco (Crna macka, beli macor)
2001: Super8 Stories (id. documentario)
2004: La vita è un miracolo (Zivot Je Cudo)
2005: All the Invisibile Children (episodio Blue Gypsy)
2007: Zavet
2008: Maradona (Maradona by Kusturica)

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