Mario Monicelli


Mario MonicelliIl suo primo film l’ha scritto e diretto all’età di diciotto anni (Un cuore rivelatore); l’ultimo l’ha firmato nel 2006, all’età di novantun anni, andando a girarlo in Africa sulla scia dell’omonimo romanzo di Mario Tobino (Le rose del deserto). Poi, gli ultimi tempi della sua vita sono stati una lucida regia verso un rabbioso atto finale, che egli ha rifiutato testardamente di lasciare che fossero altri a determinare.

Il percorso esistenziale e culturale di Mario Monicelli è stato lungo e solo apparentemente eclettico. Egli nasce come “filmaker” di pellicole realizzate a 16mm con gli amici d’infanzia; negli anni Trenta si fa anche critico cinematografico sulla rivista “Camminare”; ha un lungo apprendistato come aiuto regista e come sceneggiatore per conto terzi; esordisce dietro la cinepresa (Totò cerca casa) a trentatre anni, in condominio con Steno e al servizio di Totò; sempre insieme a Steno realizza sette film che alternano la comicità con l’analisi di costume; diventa regista in proprio con Totò e Carolina e da allora firma una sessantina di film (tra lungometraggi, episodi di pellicole collettive e opere televisive) che concorrono a definire la stagione più feconda della commedia cinematografica italiana, nella quale la risata si può fondere con la rappresentazione della morte, la centralità del lavoro con l’attore non ha mai bisogno di negare l’osservazione della realtà sociale e le convenzioni narrative del cinema di genere si alimentano senza complessi alla fonte della vita come a quella della fantasia personale o delle più disparate opere letterarie.

Usando una classificazione “d’antan”, si potrebbe dire che Mario Monicelli è stato il più met­teur en scène e il meno auteur dei registi della commedia all’italiana. Con tutto quanto di positivo è insito in quell’appellativo, però. Perché nel cinema artigianale di Monicelli c’è sempre il piacere di raccontare una storia, il gusto per il nuovo, la grande cura riservata ai dialoghi e alla struttura narrativa, la primaria importanza riconosciuta alla scelta e alla direzio­ne degli attori, il costante interesse per le leggi della comunicazione con il pubblico.

Moni­celli ha vissuto la nascita del neorealismo, ne ha comprese e apprezzate le motivazioni, ammirati soprattutto in De Sica e Rossellini i risultati, ma non vi ha preso parte direttamente, non condividendone il progetto estetico e pedagogico, nonostante il comune scarso interesse per la composizione di inquadrature immediatamente significanti sul piano estetico (com­posizione cara invece in modo particolare ai suoi amici Riccardo Fre­da e Raffaello Matarazzo) e il primato concesso a un cinema che appartenga alluniverso del reale più (o almeno prima ancora) che a quello del bello. Ciò che gli resta del neorealismo è il piacere di raccontare più che raccontarsi, di descrivere il mon­do degli altri piuttosto che esibire la propria visione del mondo, che pure è latente in ogni suo film.

Ma il migliore cinema di Monicelli, come quello degli altri registi della commedia all’italiana, si è sempre nutrito di ciò che la società poteva loro offrire, più che dei sogni che essi stessi potevano avere. Così accadde in I soliti ignoti, girato alla vigilia del boom economico, come nella sua trasposizione nel Medioevo, Larmata Brancaleone, che è anch’essa un viaggio nell’Italia che c’è: divertente e vitalistica; inesorabilmente votata al fallimento e per questo fecondatrice di una risata percorsa da un brivido di morte, messo in evidenza nell’ottimo sequel, Brancaleone alle crociate.

Anche in La grande guerra, epica ballata eroicomica scan­dita da canzoni tradizionali, Monicelli dimostra la sua straordinaria capacità di sintetizzare sullo schermo una serie disordi­nata di suggestioni che erano già nell’aria e, raccontando ancora una volta le avventure di due accattivanti prototipi dell’arte di arrangiarsi, calibra con grande sapienza l’alter­nanza della commedia e della tragedia, dei ritmi gioiosi della vita e di quelli coralmente dolenti della morte. Ne sortisce, così, un film insie­me epico e comico: forse il migliore di tutta la sua filmografia, certo il più emblematico del talento di un met­teur en scène senza complessi, che ama le grandi sfide, trovando una carica vitalizzante nel fatto di essere stato il primo ad aver fatto certe scelte.

E primo, nella storia del cinema italiano, Monicelli lo è stato veramente molte volte e in tante occasioni: si trattasse di far emergere la vena drammatica della recitazione di Totò (Totò e Carolina) o di introdurre l’ombra della morte in una commedia (I soliti ignoti), di rivelare a Gassman le sue potenzialità comiche (da I soliti ignoti a L’armata Brancaleone) o di affrontare senza tabù reverenziali i grandi temi della Storia (La grande guerra, appunto). E ancora: egli è stato il primo a far vivere i propri personaggi in costume, trasgredendo una norma non scritta che invitava a non trasferire nel passato l’azione della commedia; il primo a scoprire Lea Massari (Proibito) e Clau­dia Cardinale (I soliti ignoti); il primo a costruire una com­media all’italiana con protagonista femminile (La ragazza con la pisto­la); e così via, sino al primato di commedie tematicamente eccentriche, anche se non proprio riuscite, quali Toh è morta la non­na! o Vogliamo i colonnelli. E proprio in questa ten­sione verso la novità che si può cogliere la dimensione più profonda di tutta la sua filmografia di metteur en scène. Una filmografia illuminata da grandi successi, ma anche caratterizzata da tonfi al botteghino (Temporale Rosy), abitata da attori già celebri, ma anche da esordienti, fatta di lungometraggi, ma anche di tanti “corti” per film collettivi, alcuni dei quali (ad esempio La bambinaia o First Aid) sono certo da annoverare tra le sue cose migliori: testimonianza di un cinema artigianale che non si vergogna di essere tale e che, sotto la tendenza a vedere sempre il comico e il grotte­sco nei fatti della vita, ha anche saputo coglierne la complessità e la varietà. Senza drammi autoriali, divertendosi anche a rispecchiarsi nel contesto della propria generazione, con disin­cantata consapevolezza: «Eravamo tutti così» amava ricordare Monicelli: «Penso a Vittorio De Sica. Era privo di presunzione come persona, e lo era anche il suo cinema. Come Germi, Comencini, Rossellini. E anche Dino Risi. Cer­cavamo di smitizzare tutto, continuamente». E così facendo, hanno dato vita, tutti insieme, con allegria, alla migliore stagione del cinema italiano.

(di Aldo Viganò)

IL CINEMA, GLI ALTRI, LA VITA

Il cinema
■ Fu un po’ per caso e un po’ per volontà che alcuni sceneggiatori come Steno ed io passammo alla regia. Per quanto mi riguarda fu per volontà: mi piaceva l’idea di fare il regista; anche fare lo sceneggiatore mi piaceva, ma mi affaticava quello stare chiuso per ore a fumare, a pensare e a trafficare.

■ Per fare un film bisogna rubare da tutto, da quel che si è letto, da quel che si è visto, dal teatro, dalle storie che ti raccontano gli amici.

■ Ho sempre avuto una idiosincrasia verso i film da girare in teatro di posa, perché è tutto finto. Girare in ambienti naturali aiuta l’attore e obbliga me e i miei collaboratori a fare un maggiore sforzo mentale.

■ Sono contrario da molti anni ai primi piani degli attori e ne faccio pochissimi. Il primo piano è un trucco di chi non sa girare; un primo piano ti salva sempre, quando non sai cosa mettere.

■ Non sarei mai capace di girare un film senza sceneggiatura.

■ La sceneggiatura deve risolvere tutte le questioni che sorgono durante le riprese, deve dare un’indicazione sui personaggi, sui caratteri, sulle gag, ma anche sui luoghi da cercare insieme allo scenografo, sugli abiti e sul come deve essere l’azione, quale carattere deve avere.

■ Lo stadio espressivo drammatico corrisponde alla fase ‘infantile’ della produzione di un artista, mentre è molto più matura l’espressione comico-umoristica.

■ Finché ho potuto, ho cercato sempre di cambiare genere, per capire che cosa potevo fare. Io rispetto molto l’eclettismo, mi piacciono quelli che sanno fare tutto.

Gli altri
Steno – Ci chiamavano dappertutto, tant’è vero che ci mettemmo a impiegare dei ‘negri’ per collaborare ai vari soggetti e sceneggiature. ‘Negri’ poi divenuti celebri come Age e Scarpelli, De Concini, Continenza. I titolari eravamo noi, però poi apparivano anche i loro nomi, erano avallati da noi. C’era un lavoro di équipe persino esagerato. In certi film eravamo in otto o dieci sceneggiatori. Si partecipava a qualcosa che assomigliava a concitati happenings che si svolgevano in camere d’albergo, in casa di qualcuno di noi, o nei caffè. Tutti insieme si buttavano giù gags, idee, sketches, alcuni rubati dalle riviste, oppure da atti unici che qualcuno si ricordava di aver visto.

Totò – Mi è rimasto dentro molto di Totò. Ho sempre avuto un grande rispetto. E un rimpianto. Quando arrivava sul set, suggeriva sempre qualcosa di astratto, di surreale. E io, come gli altri della mia generazione, condizionati dal neorealismo, non lo seguivamo, gli stroncavamo quella sua vena strana, meravigliosa, fuori da ogni schema, da marionetta anche inquietante, sinistra. E lui non insisteva. Peccato.

Machaty – S comportava come io credevo fosse giusto si comportasse un regista, come il mio modello, cioè come un pazzo! Veniva vestito in modo strano… gridava, urlava, strillava…

Genina – Io mi occupavo di fare l’assistentino, di battere il ciak… ero un esecutore molto volenteroso… ma per me lui girava il film in maniera cialtronesca. Quando Squadrone bianco uscì mi accorsi, però, che possedeva una sua sostanza anche estetica. La cosa mi procurò uno shock e mi dette da pensare: cominciai a capire quale era la resa di certe scene, che importanza avessero certi elementi che avevo ritenuti ininfluenti.

Gentilomo: Aveva la capacità di pensare il film come montaggio: un’immagine nasceva soltanto perché seguiva un’altra, anche se non era ancora stata girata. Il montaggio allora aveva il difetto di seguire ancora le regole del muto, mentre la parola permetteva già una lavorazione molto più sintetica.

Germi: Gli dissi: ‘Ma finiscila con questo tipo di film! Con questo Vallone sempre inquadrato dal basso contro le nuvole’. E lui mi disse: ‘E tu che fai i film di Totò non ti vergogni?’. ‘No, io non mi vergogno; mi vergognerei di quelli con Vallone.

Petri: Lo incontrai da Rosati dopo che La grande guerra era uscito con grande successo e lui già da lontano scuoteva la testa; mi disse: “Caro Mario, no, non ci siamo, non ci siamo”. Mi è rimasta impressa quella reazione (io non controbatto mai): era un po’ la reazione diffusa dei cineasti, critici o autori che fossero.

La vita

■ Non ho mai permesso che la mia vita personale, intima, intralciasse neppure nella misura più piccola il mio lavoro.

■ La speranza è una trappola inventata dai padroni. La speranza è quella di quelli che ti dicono che dio… state buoni, state zitti, pregate che avrete il vostro riscatto, la vostra ricompensa nell’aldilà. Sì siete dei precari, ma tanto fra 2 o 3 mesi vi riassumiamo, vi daremo il posto. State buoni, andate a casa e… stanno tutti buoni. Mai avere speranza! La speranza è una trappola, una cosa infame inventata da chi comanda.

(Le dichiarazioni di Mario Monicelli sono tratte da interviste rilasciate in varie occasioni e a Lorenzo Codelli per il libro “L’arte della commedia” edito da Dedalo)

FILMOGRAFIA DI MARIO MONICELLI
Regie
1934: Il cuore rivelatore, coregia Cesare Civita e Alberto Mondadori
1935: I ragazzi della via Paal, coregia Alberto Mondadori
1937: Pioggia d’estate, firmato Michele Badiek
1949: Totò cerca casa, coregia Steno (ooo) ; Al diavolo la celebrità, coregia Steno (oo)
1950: È arrivato il cavaliere!, coregia Steno (oo); Vita da cani, coregia Steno (oo)
1951: Guardie e ladri, coregia Steno (ooo); Totò e i re di Roma, coregia Steno (ooo);
1952: Totò e le donne, coregia Steno (oo)
1953: Le infedeli, coregia Steno (oo); Totò e Carolina (ooo)
1954: Proibito (oo)
1955: Un eroe dei nostri tempi (ooo)
1956: Donatella (oo)
!957: Padri e figli (oo); Il medico e lo stregone (oo)
1958: I soliti ignoti (oooo)
1959: La grande guerra (oooo)
1960: Risate di gioia (oo)
1962: Renzo e Lucia (ep. Boccaccio ’70) (oo)
1963: I compagni (oooo); Gente moderna (ep. Alta infedeltà) (oo)
1965: Casanova ’70 (ooo)
1966: L’armata Brancaleone (oooo); Fata Armenia (ep. Le fate) (oo)
1968: La bambinaia (ep. Capriccio all’italiana) (ooo); La ragazza con la pistola (ooo)
1969: Toh, è morta la nonna! (oo)
1970: Il frigorifero (ep. Le coppie) (oo); Brancaleone alle crociate (oooo)
1971: La mortadella (oo)
1973: Vogliamo i colonnelli (oo)
1974: Romanzo popolare (ooo)
1975: Amici miei (ooo)
1976: Caro Michele (ooo); La bomba (ep. Signore e signori, buonanotte) (oo)
1977: Un borghese piccolo piccolo (oo); Autostop e First Aid (ep. I nuovi mostri) (oooo)
1979: Viaggio con Anita (ooo)
1980: Temporale Rosy (ooo)
1981: Camera d’albergo (oo); Intervista a Mangiafuoco – tv; Il marchese del Grillo (ooo)
1982: Amici miei atto II (ooo)
1984: Bertoldo, Bertoldino e… Cacasenno (ooo)
1985: Le due vite di Mattia Pascal (ooo)
1986: Speriamo che sia femmina (ooo)
1988: I picari (ooo)
1989: Verona (ep. 12 registi per 12 città); La moglie ingenua e il marito malato
1990: Il male oscuro (ooo)
1991: Rossini! Rossini! (oo)
1992: Parenti serpenti (ooo)
1994: Cari fottutissimi amici (oo)
1995: Facciamo paradiso (oo)
1997: Un idillio edile (ep. Esercizi di Stile); Topi di appartamento (ep. I corti italiani)
1999: Panni sporchi (ooo); Un amico magico: il maestro Nino Rota
2000: Come quando fuori piove – tv (oo)
2001: Un altro mondo è possibile – film collettivo
2002: Lettere dalla Palestina – film collettivo
2003: Firenze, il nostro domani – film collettivo
2006: Le rose del deserto (oo)
2008: Vicino al Colosseo… c’è Monti

Sceneggiature
1940: La granduchessa si diverte di Giacomo Gentilomo
1941: Brivido di Giacomo Gentilomo
1942: La donna è mobile di Mario Mattoli
1943: Cortocircuito di Giacomo Gentilomo
1945: Abbasso la miseria! di Gennaro Righelli; Il sole di Montecassino di Giuseppe Maria Scotese; Come persi la guerra di Carlo Borghesio
1946: Abbasso la ricchezza! di Gennaro Righelli; L’angelo e il diavolo di Mario Camerini; L’apocalisse di Giuseppe Maria Scotese; Aquila nera di Riccardo Freda
1947: Fatalità di Giorgio Bianchi; Fumeria d’oppio di Raffaello Matarazzo; Follie per l’opera di Mario Costa; Lo sciopero dei milioni di Raffaello Matarazzo; Gioventù perduta di Pietro Germi; La figlia del capitano di Mario Camerini; Il corriere del re di Gennaro Righelli; I miserabili di Riccardo Freda; L’ebreo errante di Goffredo Alessandrini
1948: L’eroe della strada di Carlo Borghesio; Riso amaro di Giuseppe De Santis; Il cavaliere misterioso di Riccardo Freda; Accidenti alla guerra! di Giorgio Simonelli
1949: Il lupo della Sila di Duilio Coletti; Il conte Ugolino di Riccardo Freda; Come scopersi l’America di Carlo Borghesio; Marechiaro di Giorgio Ferroni; Quel bandito sono io di Mario Soldati; In nome della legge di Pietro Germi
1950: Il brigante Musolino di Mario Camerini; Botta e risposta di Mario Soldati; L’inafferrabile 12 di Mario Mattoli; Le sei mogli di Barbablù di Carlo Ludovico Bragaglia
1951: Vendetta… sarda di Mario Mattoli; Tizio, Caio, Sempronio di Alberto Pozzetti; È l’amor che mi rovina di Mario Soldati; Core ‘ngrato di Guido Brignone; OK Nerone di Mario Soldati; Napoleone di Carlo Borghesio; Il tradimento o Passato che uccide di Riccardo Freda; Anema e core di Mario Mattoli; Accidenti alle tasse! di Mario Mattoli; Amo un assassino di Baccio Bandini
1952: Totò a colori di Steno; Cinque poveri in automobile di Mario Mattoli; Cani e gatti di Leonardo De Mitri
1953: Un turco napoletano di Mario Mattoli; Il più comico spettacolo del mondo di Mario Mattoli; Cavalleria rusticana di Carmine Gallone; Perdonami di Mario Costa; Giuseppe Verdi di Raffaello Matarazzo
1954: Violenza sul lago di Leonardo Cortese; Guai ai vinti! di Raffaello Matarazzo
1956: La donna più bella del mondo di Robert S. Leonard
1961: A cavallo della tigre di Luigi Comencini
1963: Frenesia dell’estate di Luigi Zampa
1966: Il marito di Olga (ep. I nostri mariti) di Luigi Zampa
1977: Gran bollito di Mauro Bolognini

Postato in Numero 92, Registi.

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