di Antonella Pina.
Michail Anatol’ Litvak nasce a Kiev nel 1902 in una famiglia di ebrei russi. Il padre era un banchiere. Lui studia filosofia e Arte drammatica all’Università di San Pietroburgo. Lascia la Russia nel 1925, si trasferisce in Germania e poi in Francia. Collabora con G.W.Pabst, realizza alcuni film importanti per la sua carriera come Cœur de lilas del 1932 e L’equipaggio del 1935. Quest’ultimo gli procura una fama internazionale e la chiamata a Hollywood da parte della Warner Bros. .
Negli Stati Uniti realizza film di grande successo e durante la guerra lavorerà per l’esercito americano nei reparti cinematografici. Il suo amore per l’Europa lo conduce a girare film nel vecchio continente, anche se le produzioni e i divi sono hollywoodiani.
Riporta Ingrid Bergman nel cuore del pubblico americano, dopo la scandalosa storia d’amore con Rossellini, insistendo presso gli studi cinematografici per affidarle la parte della granduchessa Anastasia in Anastasia. Il film si rivelerà uno dei maggiori successi di pubblico degli anni ‘50 e consentirà alla Bergman di vincere l’Oscar..
Litvak era passato attraverso una rivoluzione ed una guerra e aveva maturato una visione cupa della vita. I personaggi dei suoi film attraversano sempre momenti difficili, il loro senso del bene vacilla, si perdono, “viaggiano nella notte”, ma alla fine ritrovano se stessi.
Morirà a Parigi nel 1974 e con il passare degli anni il suo nome verrà ricordato soltanto per pochi e isolati titoli. La rassegna di Bologna ha avuto il merito di poter dare agli spettatori una visione d’insieme della sua complessa carriera presentando undici dei suoi film più importanti: Mai più l’amore (Nie Wieder Liebe!) del 1931; Lilac (Cœur de Lilas) del 1932; L’Equipaggio (L’Équipage) del 1935; Tovarich del 1937; Il sapore del delitto (The Amazing Dr.Clitterhouse) del 1938; La città del peccato (City for Conquest) del 1940; Blues in the Night del 1941; La disperata notte (The Long Night) del 1947; Il terrore corre sul filo (Sorry, Wrong Number) del 1948, La fossa dei serpenti (The Snake Pit) del 1948; I dannati (Decision Before Dawn) del 1951; Profondo come il mare (The Deep Blue Sea) del 1955; Anastasia del 1956. Ve ne raccontiamo alcuni.
Tovarich, del 1937, è una divertentissima screwball comedy con la coppia Claudette Colbert/Tina/granduchessa Tatiana e Charles Boyer/Michel/principe Ouratieff.
La storia si svolge a Parigi ed inizia con la nostra coppia che balla in una piazza in festa per le celebrazioni del 14 luglio. I due si fanno trascinare dall’allegria generale e danzano con grande eleganza, ma ignorano cosa i francesi stiano festeggiando e allora lo chiedono ad uno dei musicisti. Neppure il musicista sa esattamente perché si faccia festa, è qualcosa che ha a che fare con la Storia ma deve chiedere ad un collega per saperne di più. Il collega aggiunge che si tratta della Bastiglia ma altro non sa dire, quindi domanda al collega successivo e alla fine si arriva alla parola rivoluzione. Allora i due ballerini smettono di sorridere e lasciano il ballo indignati. Sono la granduchessa Tatiana Petrovna e il principe Mikail Ouratieff, ed è stata una rivoluzione a portarli esuli e senza un soldo in Francia.
I due tornano al loro appartamento, una squallida soffitta con un letto traballante e quasi niente da mangiare. E’ lei che esce a fare la spesa, una spesa che, non avendo soldi, deve necessariamente rubare. E’ maldestra ma si crede molto scaltra. In realtà i commercianti del quartiere hanno l’ordine di non guardare e lasciarla fare perché poi persone facoltose passano a saldare i conti. Si tratta di banchieri che oltre a conoscere la vera identità dei due esuli, conoscono anche il loro conto in banca: una straordinaria fortuna affidata al principe dallo Zar per impedire ai bolscevichi di appropriarsene.
Quindi ricchissimi eppure assolutamente poveri perché il principe Mikail non toccherebbe mai il denaro dello Zar per motivi personali. Prima o poi quel denaro dovrà tornare in patria ed essere usato per restituire alla Russia il suo splendore.
Il loro destino a questo punto è morire di fame perché la granduchessa, umiliata più dalla sua imperizia che dalla generosità dei banchieri, non osa più rubare.
Così i due aristocratici sono costretti a cercarsi un lavoro e lo trovano come domestici. In fondo sono sempre stati servitori, servire lo Zar era lo scopo della loro vita.
Vengono assunti nella casa dei Dupont, una famiglia ricca e molto viziata, un perfetto esempio della decadenza occidentale. Qui inizia una esilarante commedia degli equivoci che si conclude con lo svelamento dell’identità dei due aristocratici e con la visita a casa Dupont di un commissario bolscevico crudele ma raffinato e fedele alla Russia. Certo, si tratta di una nuova Russia, ma è comunque la Russia e cos’era lo Zar se non la Russia? Il commissario, anche se disprezzato dai due aristocratici, chiede ed ottiene dal principe Mikail il denaro dello Zar per salvare l’amata patria dall’ingerenza dei capitali stranieri.
La granduchessa e il principe restano a casa Dupont come domestici.
Nella divertentissima scena finale la coppia è pronta per recarsi ad una festa russa, dove loro, naturalmente, sono gli ospiti d’onore. Vestiti di tutto punto, escono con grande e ineguagliabile eleganza dalla porta di servizio, lui con in mano il secchio della spazzatura che depositerà all’esterno e lei con il cestello del latte per il lattaio.
Boyer e Colbert sono in splendida forma e il film è davvero delizioso.
La città del peccato (City for Conquest) del 1940, interpretato da James Cagney, Ann Sheridan, Arthur Kennedy e Anthony Quinn, racconta la storia di tre giovani: due fratelli e una ragazza. Sono persone che appartengono ai bassifondi della città ma hanno trovato la loro strada onestamente e vivono in una dignitosa povertà. Eddie/Kennedy, ha un grande talento per la musica, Danny/Cagney per il pugilato e Ann per la danza.
Danny sa che il pugilato potrebbe renderlo ricco ma non ha interesse per il denaro, desidera soltanto vivere una vita tranquilla al fianco di Ann e ascoltare la musica che suo fratello compone. Una musica che lo pervade e che lui comprende, anche se non è in grado di conoscerla.
Ann vorrebbe vivere con Danny ma la sua passione per la danza la porta a separarsi da lui e a calcare i teatri del mondo al fianco di Murray/Quinn, un uomo cinico che la usa per ottenere successo.
Eddie, come il fratello, non ha interesse per il denaro ma ne avrebbe bisogno per poter continuare gli studi. Non avendone deve rinunciare alla musica. Questa è una decisione che Danny non può accettare e quindi decide di offrirsi in sacrificio e diventare un pugile professionista.
Vince tutto quello che è possibile vincere, ma non avendo più Ann, non ha più sogni. Il pugilato è diventato tutto e della vita che aveva sognato è rimasta solo la musica di Eddie.
Poi un giorno il suo avversario trucca l’incontro per il titolo, cospargendo i guantoni di una sostanza che danneggia gli occhi e quindi la vista.
Danny perde l’incontro e diventa quasi cieco. Non può più combattere. Nel frattempo Eddie è diventato un compositore e si esibirà al Carnegie Hall. Ann capisce di aver perso la parte migliore della sua vita. E’ stanca del suo successo, vorrebbe tornare da Danny ma ha paura. Acquista il biglietto per il concerto di Eddie e mentre lo ascolta l’intensità della musica, Sinfonia di una città, le dà il coraggio per tornare da Danny che, trovandosela di fronte, esce dal buio in cui era precipitato e la vede.
Un film intenso con un finale decisamente lirico. Una grande prova per tutti gli attori, in particolare per Cagney, forse non avvezzo alla raffinata regia di Litvak.
La disperata notte (The Long Night) del 1947, con Henry Fonda, Barbara Bel Geddes, Ann Dvorak e il sempre grande Vincent Price, è il remake hollywoodiano di Alba tragica (Le jour se lève) il film del ‘39 girato da Marcel Carné e interpretato da Jean Gabin.
Il film è molto simile all’originale nella struttura e nel contenuto. Entrambi i protagonisti sono operai, sono soli e vivono in una grande città. Fonda è anche un ex soldato. La storia inizia con un colpo di pistola ed uno sconosciuto, Vincent Price, che esce barcollando da un modesto appartamento e cade riverso nelle scale.
Nell’appartamento c’è Joe (Henry Fonda), l’assassino, che attraverso flashback, rivive e rivela al pubblico la catena di eventi che hanno portato all’omicidio.
La differenza sostanziale tra i due film riguarda il finale e quindi la visione del mondo dei due registi. Oppure la libertà lasciata loro dagli studi cinematografici.
Nel film di Carné, Gabin si toglie la vita, rivelando uno sguardo decisamente pessimista sul destino di un operaio che vive solo in una camera ammobiliata di una grande città.
La storia di Litvak ha invece un lieto fine, molto sofferto ma comunque lieto. Non solo l’operaio Joe non si uccide ma torna dal “viaggio nella notte” con la concreta possibilità che la sua vita possa cambiare.
Il terrore corre sul filo (Sorry, Wrong Number) del 1948 con una Barbara Stanwyck (Leona) meravigliosamente perfida e un giovane e tormentato Burt Lancaster (Henry).
Una donna, Leona, affetta da una malattia psicosomatica, quasi impossibilitata a muoversi, è sola in una lussuosa camera da letto in una casa presa temporaneamente in affitto, in una città che conosce appena. La servitù ha il suo giorno di libertà. Leona è in attesa del marito, Henry, che invece, per impreviste ragioni di lavoro, non tornerà. E’ inquieta, indispettita e insofferente, come solo una Stanwyck in splendida forma può riuscire ad essere. Comunica con il mondo esterno attraverso un telefono bianco che ha sul tavolino a fianco al letto.
Durante una telefonata con l’ufficio del marito si produce un’interferenza e Leona ascolta suo malgrado una conversazione tra due uomini: una donna verrà uccisa proprio quella notte, da lì a poche ore, una donna sola in una grande casa. Leona si spaventa, non per se stessa, non ancora, ma per la sconosciuta che dovrà morire e prova ad avvertire prima le centraliniste e poi la polizia. Nessuno però la prende sul serio.
La donna continua a fare e ricevere telefonate. Persone che aveva dimenticato o che conosceva appena le rivelano cose terribili di cui lei era all’oscuro. La sua inquietudine aumenta. A questo punto il film procede per flashback che ricostruiscono la vita di Leona e Henry. Tassello dopo tassello, la possibilità che sia la sua vita ad essere in pericolo si fa sempre più concreta.
L’ultima conversazione è con il marito. E’ lui a contattarla, perché Leona, nonostante i molti e disperati tentativi, non era riuscita a rintracciarlo.
E’ stato Henry ad assoldare due uomini per ucciderla, e mentre le parla vorrebbe salvarla, ma un’ombra si avvicina alla camera. Il grido di Leona e il terrore sul suo volto comunicano allo spettatore che ormai è troppo tardi. La conversazione si interrompe, il telefono squilla per un’ultima volta: è Henry che tenta disperatamente di parlare ancora con Leona ma è la mano guantata di un uomo a sollevare la cornetta, e la risposta che il pubblico ed Henry ascoltano è un gelido: sorry, wrong number.
E’ un film complesso, un noir con elementi quasi surreali e immagini da cinema espressionista.
Litvak, come Hitchcock, si esibisce in un cameo.