di Oreste De Fornari.
Ora che non solo gli esegeti di Resnais ma anche gli ammiratori di Tarantino sono abituati alle narrazioni non lineari
di Oreste De Fornari.
Ora che non solo gli esegeti di Resnais ma anche gli ammiratori di Tarantino sono abituati alle narrazioni non lineari e ai viaggi nelle pieghe del tempo, un piccolo noir a sfondo parapsicologico come La notte ha mille occhi di John Farrow (1948) rischia di sembrare datato: troppo ingenuo, troppo elementare, troppo avvincente. Eppure è un bel film.
Vi si narra di un veggente da palcoscenico (Edward G. Robinson) che tutti considerano un impostore : nessuno gli crede, lui stesso dubita dei suoi poteri e non riesce mai a impedire gli incidenti che prevede, dalla morte di uno strillone travolto da un auto a un petroliere che perde la vita in un disastro aereo. Quindi è una ragazza (Gail Russell) a diventare oggetto di una tragica predizione. La ragazza , figlia della defunta fidanzata del veggente( quindi praticamente è sua figlia), è dominata da una paura senza perché ( il film si apre con un suo tentativo di suicidio) e da questo momento scatta la corsa contro il tempo per salvarla .
Due forze opposte sono in campo: l’occultismo, i poteri divinatori del protagonista, e dal lato opposto lo scetticismo, la razionalità assoluta di cui fanno mostra un geologo, fidanzato della ragazza in pericolo di vita (John Lund) , e il tenente di polizia che conduce le indagini (William Demarest).
Come in tanti noir la forma del film, all’insegna dell’arbitrario e dell’instabile, sembra fatta apposta per mettere in dubbio le nostre certezze . Fondamentali in questo senso la voce narrante del protagonista ,che imprime un tono soggettivo al racconto ,e il continuo ricorso ai flash back .Non nutriamo dubbi sulla sincerità del protagonista o sull’attendibilità dei flash back ,ma è evidente che ci stiamo muovendo in un clima permeato di magia , propizio ai sospetti.
E poi bisogna tener conto degli attori, punto di forza del verosimile e puntello dell’identificazione. Il veggente è Edward G. Robinson, all’epoca cinquantacinquenne ,con la sua maschera di duro collaudata in tanti ruoli da gangster, che qui appare invecchiato, fragile, sopraffatto da forze misteriose .La ragazza in pericolo, che ha paura delle stelle, è Gail Russell, il cui dolce sguardo ha brillato per pochi anni ( L’ultima conquista, I sette assassini,…).
A colpi di sospetti e di smentite circa la sua incolumità, tra cliché e dead line (le undici di sera è l’ora prevista per il delitto) si scivola verso una conclusione insieme emozionante, banale e melanconica: l’aspirante omicida ( un uomo d’affari disonesto che ha già ucciso il padre della ragazza) viene smascherato e il veggente ,ingiustamente sospettato fino all’ultimo ,viene abbattuto da un poliziotto. E anche dopo la sua morte la polizia continua a non credere alla sua versione dei fatti.
In chiusura un’immagine del cielo stellato con una frase di vago sapore shakespeariano, scritta dal veggente e letta fuori campo dal geologo ”Il mio strano destino deve farvi riflettere per un momento .Deve farvi capire che ci sono cose sulla terra ancora nascoste a noi, cose segrete ,oscure e misteriose.” Il dubbio ha avuto l’ultima parola.
Dunque un noir con tracce di espressionismo ( il protagonista è della famiglia di Caligari e di altri imbonitori) e ipotesi fantasy. Scriveva Todorov tanti anni fa che il racconto fantastico oscilla continuamente tra una spiegazione razionale e una irrazionale degli enigmi. È anche il caso di questo film . C’è una spiegazione razionale di cui la polizia sembra accontentarsi, e una magica parapsicologica, che abbiamo il privilegio di condividere segretamente con il protagonista.
Non ha avuto molta fortuna tra i critici, La notte ha mille occhi,nemmeno in Francia, dove pochi anni prima era uscito un film di Duvivier, Il carnevale della vita, con E.G.Robinson in un ruolo simile. Va poi ricordato che l’autore del libro da cui il film è tratto è Cornell Woolrich, nome caro ai cinefili per almeno due o tre romanzi e racconti pervasi da un cupo fatalismo, ridotti per lo schermo da Hitchcock e da Truffaut (La finestra sul cortile è il titolo più celebre), ma in questo film di John Farrow il talento del regista è meno vistoso. Da segnalare almeno la scena sotto la pioggia, prevista dal veggente, in cui uno strillone viene investito da un’ automobile, scena che si svolge fuori campo mentre siamo appunto con E.G.Robinson che non può impedire l’incidente (una bella idea di regia, anche se magari era già nel copione)..
Qui il miracolismo, gli effetti speciali sono nella testa del protagonista, tutta la magia è nelle sue facoltà profetiche, mentre lo stile visivo è relativamente anonimo e non fa velo alla storia e ai personaggi. La concretezza e la discrezione erano fra le qualità maggiori dei registi americani di quei tempi. Riuscivano a trovare più mistero negli occhi tristi di Gail Russell che nei mille occhi della notte.
p.s. L’ unico riconoscimento ottenuto dal film, di cui si ha notizia, è un festival che si svolge ogni anno a Trieste, intitolato “ I mille occhi”, diretto da Sergio M. Grmek Germani.