di Antonella Pina.
A causa della pandemia manchiamo dal Festival di Deauville da alcuni anni. Lo avevamo lasciato splendido, avvolto nelle bandiere a stelle e strisce e con i divi americani a passeggio sulle planches tra l’esultanza del pubblico composto da cinefili e passanti curiosi. Nonostante la pandemia sia sotto controllo, almeno per ora, quest’anno è stato lo sciopero degli sceneggiatori e degli attori negli USA ad offuscare lo scintillio del Festival, impedendo la presenza di Jude Law, Nathalie Portman e Peter Dinklage, le star attese a cui erano state dedicate alcune sezioni.
A parte ciò la 49ᵃ edizione del Festival di Deauville è stata bella: molti dei film in concorso erano buoni, le sale sempre gremite e la partecipazione del pubblico molto calorosa.
Se pensiamo a Cannes, Deauville è comunque sempre un Festival in tono minore, con un’eleganza decisamente più provinciale. Ma è proprio questa dimensione minore a renderlo così interessante. E’ strano vedere le star di Hollywood che si muovono sulle planches lungo le cabine della spiaggia, così lontane e diverse dal red carpet. Si ha la sensazione che qui ci si affidi non tanto alla magia effimera del glamour ma piuttosto al Cinema e alle sue storie, e all’incantevole bellezza di questo luogo.
Non dimentichiamo che i film presentati sono indipendenti. Deauville è una sorta di vetrina europea per Festival come il Tribeca e il Sundance. Sono film che mostrano il volto oscuro dell’America e raramente vengono distribuiti.
Ed è impossibile non parlare della bellezza di questa città e della Côte Fleurie: le grandi maree, i gabbianelli, le spiagge di conchiglie, le case normanne e l’ottimo sidro. E poi l’estate del ‘23 passerà alla storia: per un’intera settimana le temperature sono state insolitamente alte e la pioggia insolitamente assente. Poteva trattarsi di un Festival californiano se gli alberi di mele fossero stati sostituiti dalle palme. Forse, purtroppo, un giorno accadrà.