di Antonella Pina.
Attore straordinario con caratteristiche fisiche molto caratterizzanti: basso di statura, corpo molle, occhi sporgenti e grandi, sguardo sfuggente. Una sorta di eterno bambino, dall’espressione forse ingenua, forse perversa. Secondo Charlie Chaplin era il “più grande attore vivente”.
Lászl Löwenstein nasce in Ungheria nel 1904, fugge da casa a quindici anni e lavora con compagnie ambulanti. Poi recita nei teatri viennesi dove, a diciannove anni, viene ribattezzato Peter Lorre. Inizia a fare cinema nella seconda metà degli anni ‘20. Lo nota Fritz Lang che nel ‘31 gli affida quello che sarà uno dei suoi ruoli più celebri, forse il più celebre: l’assassino psicopatico in M (M – Il mostro di Düsseldorf).
E’ ebreo e quindi negli anni ‘30 lascia la Germania, ripara in Inghilterra dove lavora con Hitchcock e poi raggiunge gli Stati Uniti. La grande interpretazione nel ruolo dello psicopatico lo perseguita ma Lorre ha molto talento e riesce a dimostrare la sua versatilità.
La rassegna di Bologna intende appunto liberare Lorre “dal manto di orrore che gli fu cucito addosso dagli studios” e mostrare le sue grandi potenzialità di attore drammatico e comico. Le pellicole proposte sono undici, tra queste il suo unico film come regista: Der Verlorene (Un uomo perduto) del 1951 realizzato nella Germania Ovest.
Die koffer des Herren O.F. (The Trunks of Mr. O.F.) del 1931, una divertente ed anticonformista commedia tedesca diretta da Alexis Granowsky. Lorre è il giornalista Stix e vive a Ostenda, una tranquilla cittadina assolutamente priva di slanci innovativi che, come recita la canzoncina d’apertura, “dorme e sogna”. Un giorno, all’albergo della sonnolenta Ostenda arriva lo stravagante bagaglio di un viaggiatore sconosciuto: ci sono molte valige e bauli e tutto è contrassegnato dalle iniziali O. F.. Il numero delle valige e i molti adesivi di luoghi esotici che vi sono incollati sopra, suggeriscono che il proprietario debba essere decisamente ricco. Passano i giorni, tutti sono incuriositi dall’arrivo delle valige e nell’attesa del proprietario la città comincia ad animarsi. Così Stix e l’amico architetto Stark hanno un’intuizione ed elaborano un piano ingegnoso: inventano un’identità per lo sconosciuto e mettono in giro la voce che le valige e le iniziali O.F. appartengono al miliardario Oscar Flott, determinato ad investire il suo denaro proprio a Ostenda. La bugia ha un effetto esplosivo: tutti vogliono investire a Ostenda, tutti vogliono imitare ed anticipare il signor Flott. L’economia riparte, nonostante la crisi mondiale, e tutti fanno enormi guadagni aspettando il signor Flott che, naturalmente, non arriverà.
I was an Adventuress del 1940 diretto da Raymond Bernard, una esilarante commedia che vede, per la prima ed unica volta, Peter Lorre recitare al fianco di Erich von Stroheim. Due fantastici imbroglioni, Polo (Lorre) e Paul (Stroheim), attirano nelle loro trappole facoltosi personaggi grazie all’aiuto del terzo membro della banda, la falsa contessa Tanya (la ballerina Vera Zorina). Naturalmente Paul è la brillante e sofisticata mente del trio, mentre Polo uno stravagante comprimario che esegue, arricchendole e personalizzandole con non pochi dettagli, le mansioni che gli vengono assegnate. Tanya invece ha una sua indipendenza anche se è riconoscente a Paul per il lavoro molto ben remunerato in cui l’ha coinvolta.
Tutto funziona alla perfezione fino al giorno in cui Tanya si innamora, ricambiata, di una delle loro prede. Senza Tanya la situazione economica di Polo e Paul precipita e quindi Tanya deve tornare o pagare una cospicua somma di denaro come risarcimento per i mancati guadagni. Lo scambio di battute e le situazioni che si vengono a creare sono molto divertenti ed argute. Una in particolare, che ben definisce il rapporto tra i due protagonisti. Stroheim, con il piglio che tutti conosciamo, ammonisce Lorre: “Senza di me saresti perso in questo mondo sofisticato di uomini scaltri e donne intelligenti” e Lorre: “Sì, sono solo un bimbo nel bosco”.
Avrete certamente notato il ribaltamento delle qualità: nel 1940 le donne non erano scaltre ma intelligenti.
Three Strangers (L’idolo cinese) del 1946 diretto da Jean Negulesco e sceneggiato da John Huston e Howard Koch. Un noir anomalo con una trama rocambolesca dove il ruolo più importante è affidato al destino e ai suoi capricci, un destino che in questa storia assume le sembianze della dea cinese Kwan Yin.
Una donna dal volto angelico (Geraldine Fitzgerald) ma dal cuore nero, adesca due sconosciuti per strada e li porta nel suo appartamento al cospetto della dea Kwan Yin. I due sono Jerome K. Arbutny (Sydney Greenstreet), un rude avvocato tentato dalle donne e dal denaro, e John West (Peter Lorre), un alcolizzato colto e disincantato rimasto coinvolto, suo malgrado, in una rapina finita male.
E’ la notte del capodanno cinese e, secondo la leggenda, la dea darà manifestazione della sua presenza al cospetto di tre sconosciuti ed esaudirà il loro comune desiderio. Tre sconosciuti non possono avere lo stesso desiderio, soltanto il denaro può esaudire ogni richiesta. Quindi il desiderio affidato alla dea è un biglietto per le corse di cavalli. Poi i tre si separano, tornano ad essere estranei l’uno all’altro e dimenticano il biglietto. Nei giorni successivi ciascuno di loro si troverà ad affrontare problemi decisamente spiacevoli, ma la dea mantiene la promessa e fa vincere il loro cavallo. Naturalmente non ci sarà un lieto fine, la situazione è fuori da ogni controllo, ma John West trova qualcosa che il denaro non può comprare, e probabilmente è questo il dono della dea.
Una delle ragioni per guardare questo film, tra le tante, è vedere due grandi attori come Sydney Greenstreet e Peter Lorre lavorare insieme come protagonisti.