di Aldo Viganò.
Pur in modo un po’ goffo e con esiti narrativi alquanto squilibrati, Pedro Almodovar mescola per la prima volta nella sua ormai lunga carriera il melodramma femminile (suo “genere” prediletto) con la riflessione sulla storia spagnola del Novecento, sortendone un film caratterizzato da due storie parallele (e di reciproca valenza metaforica?) quali sono quelle delle due “madres paralelas”, evocate dal titolo (opportunamente lasciato in lingua originale), su cui si concentra il primato del racconto sentimentale che, con evidenza, interessa molto più al regista della propria testimonianza sulla Guerra civile degli anni Trenta.
Le protagoniste di Madres paralelas sono due donne di diversa età, che il caso ha portato a condividere la stessa stanza d’ospedale madrileno, dove entrambe stanno per partorire.
La più anziana è Janis (Penélope Cruz), quarantenne fotografa di successo, che è rimasta incinta dopo una notte trascorsa con un bel geologo da lei coinvolto nel progetto di riportare alla luce le vittime (tra cui suo nonno) della rappresaglia falangista avvenuta tanti anni prima nel suo paesello natio. L’altra è la minorenne Ana (Milena Smit), cresciuta in una famiglia benestante, con madre attrice in carriera (Aitana Sanchez Gijon), la quale, si apprenderà solo in seguito, porta in grembo il frutto di uno stupro di gruppo perpetrato da tre coetanei.
Nonostante la differenza d’età, Janis e Ana fanno subito amicizia. E nello stesso giorno partoriscono due bambine bisognose però di qualche giorno di permanenza in sala di rianimazione . Le preoccupazioni della maternità le uniscono, ma la vita quotidiana le separa, almeno sino a quando l’aspetto somatico “indio” della figlia e l’immediato non riconoscimento della bimba da parte del padre biologico introducono in Janis il sospetto che in ospedale sia avvenuta una sostituzione di neonate.
Tra ricerca delle prove attraverso gli esami del DNA e il ripresentarsi del “caso” nel nuovo incontro con Ana nel ruolo della cameriera del bar sotto casa, il film assume così sempre più un’impronta –“almodovariana”, sino al punto di dimenticarsi sino quasi alla fine dell’appena accennato spunto storico.
Appreso che la figlia di Ana è “morta in culla”, il melodramma prende sempre più il sopravvento. La ricerca delle prove biologiche della figlia di Janis fornisce in modo indiscutibile le prove dell’avvenuto scambio, con i conseguenti sensi di colpa nei confronti di Ana di Janis, la quale dapprima accoglie in casa la ragazza affidandole l’incarico di fare da baby-sitter alla figlia, poi cede alle avances sessuali della giovane (le tentazioni omosessuali sono sempre dietro l’angolo nei film di Almodovar) e infine sceglie, ma senza traumi, di restituire la figlia alla madre biologica. Nessun dramma comunque. Tutto avviene ormai in un clima sereno di riappacificazione, che trova infine la propria testimonianza nella riesumazione delle salme dalla fossa comune nel prato accanto al villaggio di Janis e soprattutto nella panoramica che seguendo lo sguardo della bambina di quelle due “madri parallele” chiude in un clima di serenità il film. Senza preoccuparsi tanto della sua coerenza narrativa interna.
Il risultato è che ancora una volta il cinema contemporaneo d’autore europeo tende ad esibire i propri contenuti piuttosto che farli nascere in coerenza con le proprie scelte drammaturgiche, abbandonando di fatto non solo la complessità dei personaggi, ma anche l’unità stilistica del film, che si condanna così a relegare in secondo piano l’autonomia estetica e narrativa del linguaggio cinematografico capace di determinare non solo l’unità del racconto, ma anche quel territorio, insieme chiarissimo ma pur mai completamente univoco, entro il quale ambisce di definirsi l’esperienza artistica. O almeno la sua ricerca.
MADRES PARALELAS
(Spagna. 2021) Regia e sceneggiatura: Pedro Almodovar – fotografia: José Luis Alcaine – musica: Alberto Iglesias – montaggio: Teresa Font. interpreti e personaggi: Penélope Cruz (Janis), Milena Smit (Ana), Israel Elejalde (Arturo), Aitana Sanchez Gijon (Teresa). Julieta Serrano (Brigita), Rossy de Palma (Elena). distribuzione: Warner Bros – durata: due ore