di Aldo Viganò.
Ormai lo sanno tutti (o quasi): “Lei mi parla ancora” è un film voluto da Vittorio ed Elisabetta Sgarbi in omaggio all’amore “immortale”, durato 65 anni, tra loro padre e loro madre. Un amore coniugale diventato poi anche oggetto del libro di successo che concluse la premiata trilogia autobiografica scritta da Giuseppe Sgarbi (in questo caso con l’aiuto di Giuseppe Cesaro): già ultra-novantenne ex-farmacista di Ro Ferrarese.
Istintivamente viene subito da pensare: e chi se ne frega di una storia del genere? Sono fatti loro; anche se diventati pubblici sfruttando la notorietà di due celebri figli di un uomo qualsiasi.
Fortunatamente, però, la cosa non è solo così. Perché, finita tra le mani dell’ultra-ottantenne Pupi Avati, questa vicenda privata di un amore romanticamente proiettato verso l’eternità è diventato un’opera cinematografica personale, che va al di là della singola biografia e delle motivazioni private, da cui è nata.
Comunque, si potrebbe insistere con qualche verità, ancora un film sulla vecchiaia che sfrutta l’età della maggioranza degli spettatori rimasti al cinema (magari solo fruito in tv). Ma ancora una volta si dovrebbe rispondere che non è solo così.
Quello che infatti resta infine, dopo la visione di “Lei mi parla ancora”, non è tanto la sensazione di aver assistito a un ricordo familiare degli Sgarbi (i quali del resto nel film non sono mai esplicitamente nominati), quanto quella di aver visto una buona opera d’autore: “sincera” nell’assunto narrativo, “vera” nella rievocazione di un passato che ormai sopravvive solo nel ricordo, “molto personale” nella ricostruzione dello spazio fisico e scenografico di quella a lui sempre cara valle del Po, che fa da sfondo a quasi tutto il cinema di Avati.
“Lei mi parla ancora” è anche un film ben interpretato e attraversato da un autentico amore per il cinema; magari passando attraverso l’esplicita citazione bergmaniana di “Il settimo sigillo”, qui proiettato sul lenzuolo steso nel cortile di un’aia.
Affidato al mai esibito talento di Pupi Avati, “Lei mi parla ancora” diventa così un racconto “universale” (che riguarda, quindi, tutti noi) sulla vecchiaia e sul tempo che passa confondendo la successione cronologica dei fatti; ma anche mescolando lo sguardo sulle cose accumulate nell’arco di una intera esistenza con i fatti vissuti nel trascorrere degli anni.
Strutturalmente l’emergere dei ricordi (e quindi la scrittura del libro come il loro concretizzarsi nel film) nasce dallo scontro-incontro tra il vecchio protagonista (un Renato Pozzetto molto coinvolto con un personaggio “serio” quale ogni comico sogna infine di poter interpretare) e il ghostwriter (Fabrizio Gifuni) che accetta di essere ingaggiato da Chiara Caselli (la quale interpreta esplicitamente il ruolo di Elisabetta Sgarbi) nelle speranza di vedere finalmente pubblicato un proprio romanzo.
Il territorio del non facile rapporto tra questi personaggi è la casa di Ro Ferrarese (con qualche puntata anche nella vicina Stienta), dove la cuoca prepara i tortelli di zucca e altri cibi della gastronomia ferrarese e dove le stanze della grande casa sono stracolme di oggetti di antiquariato e di opere d’arte (a cominciare dal dipinto del Guercino che da sempre era in quel luogo) accumulate nel corso degli anni.
La padrona di casa Rina (poco più di una comparsata di Stefania Sandrelli) è morta da poco, ma Giuseppe (detto Nino, interpretato da giovane da Lino Musella, al fianco di Isabella Ragonese) sembra non essere pronto ad elaborarne il lutto.
Poi però, lentamente, il dialogo tra il vedovo e il suo “editor” prende forma concreta; sino a che tra loro nasce anche un’amicizia.
In fin dei conti tutto quello che accade concretamente nel film è in questa relazione tra il vecchio intellettuale-farmacista (storicamente amico di Giorgio Bassani e di Valerio Zurlini) e il suo ambizioso ghostwriter, nonché nei ricordi che nascono via via (a frammenti) dai loro dialoghi. Ed è proprio questo discontinuo flusso della memoria che Avati sa gestire al meglio, collocandolo nello spazio e nel tempo (con in primo piano l’alluvione del Polesine del 1951 e la citazione della morte di Cesare Pavese dell’anno precedente) e sortendone così un film sincero e ben messo in scena e ben interpretato. A suo modo anche commovente, proprio perché costruito sul flusso comune dei ricordi del suo protagonista (Giuseppe Sgarbi) e del suo autore (Pupi Avati): da una parte gli eventi anche banali di un’esistenza umana non straordinaria e dall’altra la nobile trasfigurazione di questa quotidianità “qualsiasi” nell’autonomia di un linguaggio cinematografico classico e nel sempre molto personale amore per l’arte e le sue opere.
LEI MI PARLA ANCORA
(Italia, 2021) regia: Pupi Avati – soggetto: dal romanzo di Giuseppe Sgarbi – sceneggiatura: Pupi e Tommaso Avati – fotografia: Cesare Bastelli – scenografia: Giuliano Pannuti – costumi: Beatrice Giannini – montaggio: Ivan Zuccon. interpreti e personaggi: Renato Pozzetto (Giuseppe “Nino” Sgarbi) – Stefania Sandrelli: (Caterina “Rina” Cavallini) – Lino Musella (Nino da giovane) – Isabella Ragonese (Rina da giovane) – Chiara Caselli (Elisabetta), Fabrizio Gifuni (Amicangelo, il ghost writer), Nicola Nocella (Giulio), Serena Grandi (Clementina), Alessandro Haber (zio Bruno), Giulia Elettra Gorietti (Marta), Gioele Dix (agente letterario), Romano Reggiani (Rino Fenzi). distribuzione: Vision Distribution e Sky Cinema – durata: un’ora e 40 minuti