“La preda perfetta”: Lawrence Block

di Pasquale Pede.  Uscito qualche anno fa, ma ancora reperibile in qualche passaggio televisivo, “La preda perfetta” (“A Walk Among the Tombstones”, 2014, Scott Frank) è un film passato abbastanza inosservato, ma che in realtà presenta più di un motivo di interesse.

E’ interpretato da Liam Neeson, intanto, ma si distacca da quelli a cui questo attore ci ha abituato negli ultimi tempi. Oramai era consueto vederlo nei panni di ex agente o ex killer costretto a ritornare in azione per questioni personali, al centro di pellicole tutte uguali, in cui presta il corpo imponente e il viso da cane bastonato a vicende banalmente action, scatenandosi in improbabili colluttazioni e sgominando caterve di cattivi. Piuttosto incredibili, tra l’altro, data la stagionatura e i capelli visibilmente tinti (ma pare sia una mania dei produttori, vista la preferenza per questo tipo di film verso divi attempati come K. Costner o D. Washington). In questo caso invece è una piacevole sorpresa vederlo rinunciare alle acrobazie per vestire i panni di un anomalo detective, ex poliziotto ed ex alcolista, incaricato di scoprire una banda di serial killer per conto di un trafficante di droga cui hanno massacrato la moglie. Il personaggio che riprende non è uno qualsiasi, poiché si tratta del Matt Scudder di Lawrence Block, autore anch’esso finito nel dimenticatoio ma, per i conoscitori del genere, fondamentale. Ci torneremo in seguito.

E’ un ripescaggio che incuriosisce, poiché Scudder risale agli anni 70, e apparve sullo schermo in un film del lontano 1986, 8 milioni di modi per morire di Hal Ashby, dove era interpretato da J. Bridges, su sceneggiatura di O. Stone. Occorre precisare però che il romanzo da cui è tratto La preda perfetta è recente (stesso titolo, ed. Sellerio), perché Block ha continuato negli anni a frequentarlo, anche se col contagocce.

Il film poi non delude affatto, anzi, rispetto al precedente, sembra cogliere meglio il clima di dolente pessimismo e il relativismo etico che caratterizzano queste storie. E Neeson si cala alla perfezione in questo mood.

Matt Scudder è un ex poliziotto che ha lasciato la divisa perché, durante uno scontro a fuoco, ubriaco, ha incidentalmente ucciso per una pallottola vagante una bambina di passaggio. Tormentato dal senso di colpa è caduto nella dipendenza da alcool, da cui è faticosamente uscito grazie all’Anonima Alcolisti. Non è un detective privato vero e proprio, non ha ufficio né licenza. Passa le giornate nel séparé di un bar, se qualcuno ha bisogno di risolvere un problema senza ricorrere a rappresentanti della legge lo consulta, e Scudder decide se accettare o meno la proposta. In questo caso è contattato da un ricco trafficante di droga a cui degli sconosciuti hanno rapito e massacrato la moglie, che vuole individuarli per fargliela pagare. Subentra poi un altro trafficante a cui gli stessi hanno rapito la figlia chiedendo un riscatto. Sulle prime esitante, di fronte al dolore delcliente, Scudder accetta l’incarico. Parte l’indagine, viene coinvolto come aiutante un ragazzo di colore a prima vista senz’arte né parte, e alla fine la vicenda si risolverà in uno scontro notturno in un cimitero (da qui il titolo originale), con una coda altrettanto sanguinosa.

Piccolo film, senza vezzi o ammiccamenti autoriali, fedele a una dimensione di B movie, ma asciutto e trattenuto, coerente nella dimensione melanconica, nello scenario newyorkese fatto di luoghi marginali e anonimi, nei personaggi senza glamour, desolati, nei colori scuri spesso virati in tonalità seppia e marrone, con squallidi casermoni inquadrati frontalmente, come opere di street art, su cui si staglia la solitudine del protagonista.

Per di più il regista è lo Scott Frank cui si deve una recente serie di ottima fattura come La regina degli scacchi.

Insomma una piacevole scoperta, senz’altro da rivalutare.

Significativa anche, come si è detto, per la riproposta un autore come Block, che qui in Italia non è mai stato sotto i riflettori.

A torto, perché si tratta di una figura importante nel periodo di transizione della letteratura crime statunitense.

Nato nel 38, Block comincia a scrivere negli anni 50 libri porno sotto pseudonimo (su questo periodo ha sempre mantenuto stretto riserbo). Sono anni di passaggio per la narrativa di genere, stretta fra il tramonto delle edizioni tascabili, che per trent’anni ne avevano costituito il terreno di coltura, l’affermarsi della televisione che aveva assunto il ruolo di principale fonte di intrattenimento presso la massa del pubblico, e in generale le profonde trasformazioni attraversate dalla società statunitense.

E’ appunto nelle edizioni tascabili che Block si fa le ossa, passando ad alcuni noir aderenti agli schemi del periodo, come Labbra d’oro (reperibile nei Gialli Longanesi d’epoca). Ma è un periodo di transizione. I tempi sono cambiati, i gusti del pubblico anche, e gli ultimi capiscuola hanno perso il loro appeal. Chandler ha prodotto il suo canto del cigno, Spillane ha perso la sua carica discutibile ma dirompente, Ross MacDonald viaggia verso una dimensione di esplicita ambizione letteraria. Soprattutto stanno tramontando tutti quegli autori che negli anni 50 avevano dato un’incredibile apertura al noir (Thompson, Goodis, Williams, Whittington, White e decine di altri).

In questa fase quella che viene messa in crisi è la visione stessa dei generi classici. Nel contempo si sta affermando una nuova generazione di autori che, pur all’interno dello stesso meccanismo editoriale, sono portatori di una consapevolezza originale della tradizione da cui provengono. McBain, Michael Collins, Donald Westlake si affermano lavorando all’interno delle convenzioni ma aggiornando gli schemi, rinnovando le atmosfere e i personaggi, lavorando in modo irriverente con gli stereotipi consolidati.

In tale clima gli autori diventano “camaleontici” (Manchette), giocano su vari registri narrativi, utilizzano il citazionismo, praticano il pastiche, insomma evidenziano una concezione autoriflessiva e metaletteraria della scrittura di genere, in cui la tradizione di provenienza è assunta consapevolmente come riferimento esplicito e a volte come oggetto stesso della narrazione. A livello dei personaggi, è il detective privato, la figura di maggior spessore mitologico dell’hardboiled, quello che subisce speciali attenzioni. Si è parlato di una rinascita del private eye negli anni 60 e 70, e scrittori come Robert B. Parker, Michael Collins, Bill Pronzini, Roger L. Simon, Joseph Hansen, Walter Mosley – solo per citare i maggiori – lavorano su questo personaggio aggiornandolo o mettendolo in discussione. Compaiono detective neri, omosessuali, sessantottini, addirittura collezionisti di riviste pulp. L’investigatore privato, di memoria chandleriana più che hammettiana, viene assunto come figura emblematica, carica di glorioso passato, ma ora posto di fronte alle nuove contraddizioni del contesto sociale.

E Block, cercando la sua voce, si muove in questo solco. Essendo in quel periodo trionfante la moda della spy story per via del successo planetario di James Bond, crea il personaggio di Tanner, una spia molto speciale. Insonne cronico per una ferita alla testa, coltissimo, di idee sovversive, è un’evidente parodia dell’agente segreto: spacciatosi come spia viene considerato effettivamente tale e coinvolto in un meccanismo cui non aderisce mai sino in fondo. La chiave di queste spy stories è quindi irriverente e trasgressiva. Con lo pseudonimo di Chip Harrison Block passa a un personaggio con lo stesso nome ispirato all’Archie Goodwin di Rex Stout. Giovane e scanzonato, è protagonista di indagini dal tono umoristico. Sotto il nome di Paul Kavanagh poi scrive alcune storie su un registro più nero, senza personaggi fissi. Alla fne degli anni 70 alcuni titoli sono dedicati alle gesta scanzonate di Bernie Rhodenbarr, ladro colto e appassionato di numismatica che ad ogni furto incappa in qualche delitto da cui deve districarsi (la serie è esplicitamente ritagliata su quella parallela di Dortmünder creata da Westlake, amico e modello di Block).

Fin qui Block rivela alcune caratteristiche peculiari. La versatilità, innanzitutto, la capacità di giocare su diversi registri, e la professionalità: i suoi libri funzionano impeccabilmente, con intrecci ben oliati e uno stile accattivante. Anzi, più stili, i libri non sembrano scritti dallo stesso autore, un po’ come il suo modello Westlake. Lasciano però intravvedere alcune propensioni costanti: per il sarcasmo, l’irriverenza d’impostazione rispetto al sottogenere di riferimento, per personaggi stravaganti e controcorrente, con una “sostanziale refrattarietà alle regole costituite della convivenza sociale” (Venturelli). Ma il vero volto di Block rimane nascosto dietro questi esperimenti. Nel 76 però scatta qualcosa con Il codice di Scudder, primo titolo dedicato a Matt Scudder. Inizia una serie più impegnativa, in cui rinuncia all’umorismo e affronta in modo originale proprio la figura del detective privato. I libri su Scudder sono serissimi, e sempre più neri. In modo emblematico. Qui si sente che Block fa sul serio, e i risultati si vedono.

L’investigatore privato era ritornato come si è detto al centro dell’attenzione, soprattutto nell’accezione chandleriana di spettatore critico della società in cui opera. Marginale, individualista, portatore di un’etica di fronte alla corruzione con cui è alle prese, con i decenni questa figura aveva assunto un’aura mitica, e gli autori post classici lo rifrequentavano proprio tenendo conto di queste valenze, utilizzandolo come testimone privilegiato per mettere a nudo le mutazioni intervenute nella società americana. Di fronte alle contraddizioni degli anni 70, post Watergate e post Vietnam, diventa in modo emblematico un personaggio mutilato – anche nel corpo, come il Dan Fortune di M.Collins, che è privo di un braccio – ma soprattutto afflitto da una ferita interiore, simbolo della perdita dolorosa della fede nel sogno americano. Mitch Tobin, antieroe di Tucker Coe (alias Westlake), corroso dal senso di colpa per la morte di un collega poliziotto a causa di una sua relazione extraconiugale, è caduto nell’alcolismo e nella depressione, e passa il tempo dedicandosi alla costruzione di un muro che isoli il suo giardino dalle abitazioni circostanti.

Incrinato dal senso di colpa, l’occhio privato si trasforma in un parìa, un emarginato che ha smarrito i punti di riferimento, posto di fronte a una realtà anch’essa alienata, alla deriva, indecifrabile. Sembra aver perso la funzione di “principio di redenzione necessario di fronte a un mondo corrotto” di cui parlava Chandler. Ma non del tutto. La visione etica di cui è rappresentante sopravvive in qualche modo, ma viene problematizzata, e in questa relativizzazione consiste il nucleo più moderno della sua veste aggiornata.

In questa direzione Block si spinge forse più lontano di tutti.

Scudder non è un duro tutto muscoli e sarcasmo. Non ama le armi, non è uno sciupafemmine. E’ invece un uomo pieno di problemi e di incertezze, messo in crisi da un terribile incidente e corroso dal senso di colpa, che cerca di annegare nella bottiglia. Gli errori commessi lo hanno reso impermeabile a qualsiasi pregiudizio, conferendogli una peculiare capacità di rapportarsi agli altri senza mai mettersi al di sopra di loro, di ascoltare le loro ragioni, di comprenderne le motivazioni, per quanto lontane dalla morale corrente.

La sua condizione di alcolista è descritta con la medesima obiettività, impietosa ma scevra da pregiudizi – per quanto si sia ipotizzata una conoscenza diretta dell’autore della questione, Block è sempre stato impenetrabile sull’argomento – e costituisce un leit motiv della vicenda umana del personaggio. Nei vari romanzi seguiamo gli effetti di questa dipendenza, anche i più squallidi, e i faticosi tentativi per liberarsene di Scudder, fino all’approdo all’Anonima Alcolisti, ma al di fuori di qualsiasi maledettismo di maniera. L’abuso di alcol, motivo caratteristico di tanti personaggi hardboiled, viene ricondotto alla dimensione prosaica di un problema umano, uno fra i tanti, per quanto terribile.

Come si è detto, Matt non è un investigatore tipico, non ha più nemmeno i segni distintivi del personaggio. Privo di ufficio e licenza, a rigor di termini non è un vero occhio privato. Dimessosi dalla polizia per aver causato la morte accidentale di una bambina, passa le giornate al tavolo di un bar, e viene contattato da clienti particolari, che hanno bisogno di aiuto per risolvere problemi al di fuori delle vie ufficiali. Di conseguenza si tratta di clienti irregolari, con qualche problema con la legge. Ma hanno bisogno di aiuto, e Scudder deve decidere se accettare di “fargli un favore”. L’eventuale ricompensa viene per metà lasciata come offerta in chiesa, gesto espiatorio per la sua colpa. La vita di Scudder si svolge dunque fra la squallida camera per dormire o smaltire le sbronze, la chiesa in cui prega e la sede dell’Anonima Alcolisti alle cui riunioni partecipa assiduamente. Le sue relazioni sono con gente ai limiti come lui: i frequentatori delle riunioni di alcolisti, i clienti sui generis, una escort cui si lega sentimentalmente. Tutti dei marginali, che vivono negli interstizi dell’ordine costituito.

In questo contesto prende un rilievo del tutto nuovo la questione etica di cui il personaggio è portatore. Matt deve valutare di volta in volta se accettare o meno la richiesta dei clienti al di fuori di schemi precostituiti, e anche l’indagine che intraprende lo pone di fronte a scelte impreviste. Occorre ogni volta interrogare la propria morale, rimettersi in discussione, senza poter contare su riferimenti esterni codificati, nel confronto con persone di cui non si sente certo migliore. La scacchiera del Bene e del Male è saltata, le pedine si muovono senza più regole, ed è necessario caso per caso scegliere se giocare e qual è il tipo di gioco. Questo percorso di rimessa in gioco personale costituisce in effetti il nucleo più profondo delle vicende narrate. Scudder non si sente migliore degli altri, ma deve comunque arrivare a decidere dove collocare se stesso. Perciò il suo anticonformismo non risulta mai di maniera, ma emerge come una sofferta capacità di rimettersi in gioco.

Ulteriore pregio di questi romanzi è la descrizione dello scenario metropolitano proposta da Block. Pur evidentemente amata, la New York in cui si muove Scudder è dipinta in tono minimalista, una città prosaica, spogliata di qualsiasi glamour o aura mitica. Sembra abitata da sopravvissuti, desolata, grigia, anonima, in cui scorre comunque, ma in modo del tutto imprevedibile, una residua corrente di umanità. Altrettanto vale per i personaggi secondari, sempre visti in chiave anticonvenzionale, ma sommessamente, senza manicheismo, tutti a loro modo dotati di spessore esistenziale. Una umanità del sottosuolo urbano emblematica di una società che ha perso il suo centro.

Occorre dire che questa messa in crisi degli schemi hardboiled arriva con Block a un punto di non ritorno.

Gli scrittori della generazione successiva, infatti, sembrano piuttosto seguire l’opzione adottata in quegli anni da Robert B. Parker col suo Spenser. Mentre altri autori privilegeranno la figura del poliziotto, i nuovi fedeli all’hardboiled, anche notevoli come Crumley, Crais, Lehane, Burke etc., proporranno dei privati muscolari e ben armati, attrezzati ad opporsi alla violenza con la stessa moneta, accentuando l’aspetto thriller delle vicende. Allacciandosi alla remota derivazione western del personaggio, e in fondo riproponendo una dicotomia che attraversa il genere sin dagli anni ’20, quella fra il detective come eroe esistenziale, coscienza critica della società che lo circonda, o come giustiziere – “santo con la pistola”, come lo definisce Ruehlmann – perennemente in lotta col male.

Ma questa è un’altra storia.

Per tornare a Block, in conclusione, segnaliamo che la maggior parte della sua produzione è reperibile solo nell’usato, prevalentemente Mondadori, nel Giallo o in altre collane del medesimo editore, qualcosa da Fanucci e da Sellerio. Fra i suoi titoli, tutti apprezzabili, segnaliamo almeno, nella serie Scudder, Otto  milioni di modi di morire, L’ultimo grido, La perdizione e Lo sconveniente odore della morte.

 

 

Postato in Autori Noir.

I commenti sono chiusi.