“1917” di Sam Mendes

di Aldo Viganò.

Prima di lasciarsi sedurre dal cinema, Sam Mendes (oggi cinquantaquattrenne) è stato l’énfant prodige dei palcoscenici del west end londinese, ai quali torna sovente ancora oggi per mettere in scena sia celebri musical, quali Cabaret o La fabbrica del cioccolato, sia i testi degli autori classici, come Shakespeare o Cechov. E questa sua origine teatrale è sempre ben visibile anche in tutta la sua filmografia: dal clamoroso esordio con American Beauty (cinque Oscar nel 1999) a questo 1917 che, per la prossima assegnazione delle statuette dell’Academy Motion Picture Arts, di nominations ne ha ottenute ben dieci.

Almeno apparentemente girato in un unico piano sequenza (gli stacchi sono mascherati da chiusure di sequenze in nero, come già aveva fatto Hitchcock nel suo Nodo alla golaRope – del 1948, o da sofisticati effetti digitali), simulando che tutte le riprese siano state fatte in presa diretta e in perfetta unità temporale, 1917 è di fatto il risultato di un lungo periodo di prove in studio con gli attori, che solo dopo hanno replicato davanti alla cinepresa gesti e dialoghi sullo sfondo di una scenografia meticolosamente preparata. L’effetto finale è insieme sorprendente per la sua capacità di coinvolgere sul piano fisico ed emotivo lo spettatore e tecnicamente ammirevole per la sofisticata costruzione dei suoi realistici esiti visivi. Quelle trincee fangose in cui affondano i cadaveri dei soldati uccisi e quei topi che si aggirano dappertutto. Quegli alberi rinsecchiti o quei fiori di ciliegio che sbocciano tenaci dal filo spinato. Quei villaggi distrutti dai bombardamenti con i nemici che emergono minacciosi dalle ombre notturne. Sino alla momentanea oasi di pace di quella triste “american spiritual song” (“Wayfaring Stranger”) che nasce inatteso nel bosco, prima dell’ultima sequenza bellica e della ripresa della carneficina, che il protagonista giunge infine a interrompere con l’ordine di sospensione affidato a lui e al suo sodale dal comando d’armata.

Scritto da Sam Mendes sulla base dei racconti fattigli dal nonno che nella prima guerra mondiale ricopriva il ruolo di caporale (lo stesso dei due protagonisti del film), 1917 unisce sapientemente una storia dalla motivazione privata con la tragedia storica e collettiva della Grande Guerra di trincea.

Rimasto isolato dall’improvviso ritiro dei soldati tedeschi, che se ne sono andati dopo aver tagliato le vie di comunicazione telegrafiche, il comando di un battaglione inglese scopre che in realtà si tratta della premessa di un’imboscata che dovrebbe scattare il giorno seguente.

Facendo leva sul fatto che il caporale Blake ha un amato fratello tra le migliaia di soldati che si prevede saranno vittime del tranello, il comando decide allora, come estrema ratio, di affidare il dispaccio con l’ordine di non muoversi a quel sottoufficiale (interpretato dal bravo Dean-Charles Chapman), il quale sceglie di farsi accompagnare nella missione probabilmente suicida da un parigrado suo amico (l’ottimo George MacKay).

Inizia così la corsa disperata al di là della  linea Hindenburg, che Mendes racconta con forte piglio drammatico e facendo ricorso a uno schema narrativo punteggiato da stazioni (il superamento dei reticolati e la fuga in un limaccioso fiume in piena), incontri imprevisti (la pattuglia amica con i camion che tendono a impantanarsi e la ragazza francese nascosta con un lattante non suo tra le macerie di un casolare); nonché dalla morte assurda e improvvisa, che arriva dalla baionetta di un aviatore tedesco tirato fuori dal suo aereo in fiamme dai due protagonisti o dalle pallottole esplose nel buio della notte dai nemici sbandati e impauriti.

E poi, comunque, la corsa riprende anche da solo. Con la preoccupazione di non arrivare in tempo e con la fatica che si fa sempre più sentire.

Questa è la guerra secondo Sam Mendes. Un misto di verità e di finzione, di senso del dovere di paura, di odio e di amicizia. Una distesa solitaria abitata da un assurdo albero solitario, un luogo di morte da attraversare sempre di corsa, senza fermarsi mai a piangere ciò che è stato o a recriminare su quello che, forse, si poteva fare. E, anche se il “gioco” dell’unico piano sequenza alla lunga risulta un po’ artificioso, nel complesso lo spettacolo funziona e lo spettatore esce dal cinema insieme soddisfatto e turbato, chiedendosi anche che senso abbia una guerra come quella, senza vincitori né vinti, nella quale anche la fatica, in un territorio sempre perduto e riconquistato, sembra essere solo una brutta metafora dell’umanità e della vita stessa. Anche del cinema. O, come forse Mendes preferisce, del teatro.

 

 

1917

(1917, USA e GB, 2019)  regia: Sam Mendes sceneggiatura: Sam Mendes e Krysty Wilson-Caims – fotografia: Roger Deakins – musica: Thomas Newman – scenografia: Dennis Gassner – costumi: David Crossman e Jaqueline Djrran – montaggio: Lee Smith interpreti e personaggi: George MacKay (William Schofield), Dean-Charles Chapman (Tom Blake), Mark Strong (cap. Smith, Andrew Scott (ten. Leslie), Richard Madden (ten. Blake), Claire Duburcq (Lauri), Colin Firth (gen. Erinmore), Benedict Cumberbatch (col. Mackenzie), Daniel Mays (serg. Sanders), Adrian Scarborough (mag. Hepburn). distribuzione: 01 Distribution – durata: un’ora e 59 minuti

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