di Juri Saitta.
Vincitore del Leone d’Oro alla 76a Mostra del Cinema di Venezia, “Joker” di Todd Phillips è lo spin-off dedicato al celebre antagonista di Batman e alle sue origini criminali.
Ambientato a Gotham City, il film vede come protagonista Arthur Fleck, un aspirante cabarettista che lavora come clown “di strada” e che vive con la madre malata in uno squallido appartamento situato nella periferia della città. Già affetto da gravi problemi psichici, l’uomo subirà una serie di eventi drammatici che aumenteranno la sua malattia fino a farlo diventare un pericoloso assassino autonominatosi, per l’appunto, Joker.
Anche se nata come un cinecomic e indirizzata alla fascia più adulta e matura di quel tipo di pubblico, in realtà l’opera in questione travalica il proprio genere di riferimento per realizzare un ritratto del disagio e della marginalizzazione metropolitane. Una distanza dal cine-fumetto confermata anche dal plot, piuttosto autonomo e autosufficiente dalle avventure dell’uomo-pipistrello e tutto concentrato sulle vicende “pre-Joker” del protagonista, qui eretto a simbolo di un’umanità emarginata e alla ricerca di un riscatto impossibile.
Infatti, anche se da un lato il film evidenzia con forza il grave e crescente squilibrio psichico del personaggio, dall’altro sottolinea quanto l’uomo sia vittima di un sistema che tende a negargli qualsiasi possibilità d’inserimento sociale, come dimostrano sia la carenza di fondi al centro di assistenza da lui frequentato sia l’arroganza di tutti gli uomini di potere che incontra, dai finanzieri al candidato sindaco. Una disfunzione sistemica annunciata anche nella prima sequenza, quando la voce trasmessa da una radio descrive le condizioni precarie nelle quali versa tutta la città.
Non è dunque un caso che la violenta ribellione finale del protagonista scatenerà tutti quei cittadini che si sentono esclusi e ignorati dalla società, e dei quali Joker diventerà, suo malgrado, il simbolo e l’alfiere.
E se il protagonista è qui l’incarnazione della marginalizzazione e della rivolta, Gotham City risulta una sorta di città-mondo, che non rappresenta quindi solo le metropoli statunitensi (in particolare New York), ma piuttosto tutti quei sistemi sociali che manifestano gravi diseguaglianze economiche e tutti quei Paesi nei quali vi è una forte contrapposizione tra popolo ed élite, in quello che è un chiaro ed esplicito riferimento alla nostra contemporaneità.
Elementi tematici e narrativi che Phillips porta avanti richiamandosi al cinema hollywoodiano degli anni Settanta, in particolare agli scorsesiani “Taxi Driver” (la follia e il “giustizialismo” di Joker non sono poi così distanti da quelli di Travis) e “Re per una notte” (evidente nel rapporto tra aspirante comico e famoso conduttore televisivo). Riferimenti riscontrabili anche nella non casuale presenza di Robert De Niro e in una patina visiva che sembra rifarsi all’estetica e alle atmosfere di certa New Hollywood.
Il risultato complessivo è, al netto di alcune forzature narrative, piuttosto buono, grazie all’interpretazione di Joaquin Phoenix – forse un po’ gigione e sopra le righe, ma indubbiamente carismatico ed efficace – e alla compattezza di tutti gli altri elementi filmici (dalla messinscena alla fotografia), che nel loro insieme riescono a rendere coerente un progetto cinematografico tanto ambizioso quanto difficile da realizzare.