Karlovy Vary KVIFF 2019 – Intervista a Julianne Moore

di Furio Fossati.

Julianne Moore è giunta a Karlovy Vary per ricevere il Globo di cristallo per l’eccezionale contributo artistico al mondo del cinema, un premio alla carriera che è molto considerato dagli addetti ai lavori. Con lei il marito Bart Freundlich, regista di After the Wedding che è stato il film d’apertura della 54sima edizione del KVIFF.

–        Per voi questo film è particolarmente importante. Ci può dire per quale ragione.

“Lavorare con mio marito, continuare ad apprezzare la sua bravura e condividere il suo modo di intendere il cinema per me non sono certo novità. Quello che rende speciale questa esperienza è che per la prima volta siamo assieme anche come produttori e, da orgogliosi genitori, avevamo la nostra figlia diciassettenne quale assistente alla produzione. Comunque sul set si rispettano le gerarchie ed essere marito e moglie o figlia non incide affatto sul lavoro: ad ognuno il proprio ruolo.

–        Lei gira sia film pensati per il grande pubblico che altri indipendenti. La sua preferenza?

“Quando un titolo viene bene accolto dal pubblico e dalla critica, poca importanza ha che sia una produzione hollywoodiana o un film indipendente, ma le mie più gratificanti esperienze come attrice le ho avute con registi che girano storie più personali, che riflettono maggiormente caratteristiche autoriali. Interpretandoli, mi immedesimo in quello che è un sogno collettivo, un’avventura, un’emozionante esperienza: quando i soldi sono pochi, è necessario che le idee siano tante.”

–        Il film che avete girato è remake di Dopo il matrimonio (Efter brylluppet, 2006) della regista e sceneggiatrice danese Susanne Bier. Cosa vi ha convinti a riproporlo?

“Il mondo che raccontava il film era quello della povertà di certi paesi, degli orfani che erano accolti in strutture gestite anche da stranieri, di benefattori che permettevano l’esistenza di queste strutture che davano una possibilità di vita a tanti sfortunati bambini. In questi anni poco è cambiato in questo mondo, ed il tema è ancora attualissimo. Ma quello che ci ha intrigato di più è il mistero, le verità nascoste che sembrano essere svelate quasi casualmente, gli intrighi che coinvolgono famiglie dell’alta borghesia. Non ci sono eroi o cattivi, tutti hanno difetti, tutti hanno qualcosa da farsi perdonare. Il mio personaggio è una ricca e potente donna d’affari che finanzia varie attività benefiche e che, apparentemente senza ragione, invita la responsabile di una struttura a Calcutta ad andare a New York in concomitanza del matrimonio della figlia. Di più è meglio non dire per non togliere un po’ di suspense agli spettatori. Comunque, una famiglia apparentemente felice e molto facoltosa, rischia di sfaldarsi definitivamente.

–        Qui lei è coprotagonista ma, forse, il personaggio più importante non è il suo.

“Io, in qualità di produttrice, ringrazio Michelle Williams – in corsa 4 volte agli Oscar – di avere accettato di partecipare al film: senza di lei il risultato finale sarebbe stato diverso. E’ perfetta nelle varie sfaccettature di un personaggio molto coplesso.

–        Contenta dell’accoglienza ricevuta dal film?

“Il film non è stato ancora proposto nel circuito commerciale ma essere stato scelto per la Serata Inaugurale del Sundance Film Festival ed ora del KVIFF di Karlovy Vary dimostra che è considerato valido dai responsabili di due manifestazioni dove il cinema è davvero protagonista. Sì, mi sembra un ottimo inizio.

–        I suoi impegni per l’immediato futuro?

“Ci sono due film in post produzione a cui tengo molto e che spero potranno essere visti presto in tutto il mondo. The Glorias: A Life on the Road è diretto da Julie Taymor: basato sul libro della femminista Gloria Steinem, My Life on the Road, racconta dell’influenza della sua infanzia itinerante nella sua vita di scrittrice, attivista e organizzatrice di manifestazioni per difendere i diritti delle donne in tutto il mondo. L’altro, non meno interessante, è The Woman in the Window di Joe Wright, che parla di una donna agorafobica che vive da sola a New York; inizia a spiare i suoi nuovi vicini solo per assistere a un crudo atto di violenza.”

–        Ama sempre questo mestiere?

“Certo, per me è davvero importante anche perché mi permette di essere me stessa all’interno di tanti personaggi diversi uno dall’altro, costringe a mettermi sempre alla prova, mi fa pensare ad un futuro sempre più gratificante.

Sono conscia che tutto possa finire anche improvvisamente. Alle volte ti interroghi su cosa è successo a quell’attore, dove è finito. Ci sono circostanze che giustificano questa sparizione, generalmente qualcosa è successo, ma non è una regola.

Recitare è un lavoro a tempo determinato proprio come qualsiasi altro lavoro non sotto contratto fisso. E anche ora un impegno che dovrebbe essere a lungo termine non è sempre tale. Quindi, vivo intensamente questo periodo fortunato perché tutto potrebbe svanire nel nulla.

–        Se non fosse riuscita a diventare attrice, cosa pensa sarebbe potuto essere il tuo lavoro?

“A questo punto sarebbe difficile cambiare perché sono così vecchia – dice sorridendo – Difficile trovare qualcosa di nuovo e gratificante. È stato divertente quando mio figlio stava scegliendo il college, ed io e mio marito visitavamo le scuole con lui. Ogni facoltà che vedevo, che imparavo a conoscere mi piaceva e avrei voluto frequentarla per imparare anche un nuovo lavoro. Ma, seriamente, spero proprio di continuare a fare l’attrice.

 

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