di Antonella Pina
Il titolo della rassegna dedicata al regista egiziano curata da Tewfik Hakem in collaborazione con la Cinémathèque française e l’Associazione Youssef Chahine, racconta già molto del cinema e della personalità di Chahine. Youssef nasce ad Alessandria nel 1926 da genitori cattolici. Nonostante il padre sia avvocato i mezzi economici della famiglia sono limitati. Lui comunque non si scoraggia, il suo entusiasmo verso la vita è travolgente. Ha una personalità esuberante: recita Shakespeare; scrive, dirige e interpreta spettacoli teatrali; trascorre interi pomeriggi al cinema guardando e riguardando musical e commedie hollywoodiane. Negli anni ‘30 il cinema egiziano vive un momento magico, si parla di una “Hollywood sul Nilo”. Chahine ne è completamente conquistato e coltiva il suo grande sogno: andare negli Stati Uniti, studiare regia e recitazione al Pasadena Play House. E ci riesce.
Nel 1950, poco dopo il rientro in Egitto, realizza il suo primo lungometraggio. Diventerà un regista controverso, molto amato all’estero – soprattutto in Francia dove, nel 1997, il Festival di Cannes gli attribuisce un Premio alla carriera – e non compreso in patria. In effetti il suo cinema è innovativo: assimila, piegandole alle proprie esigenze, le influenze del cinema hollywoodiano, del realismo russo e del neorealismo italiano oltre che, naturalmente, della grande tradizione del cinema popolare egiziano.
È un regista che contamina i generi e non tiene conto né del buon senso, né della morale dominante. Parla di omosessualità e le protagoniste delle sue storie sono donne intraprendenti, disubbidienti, possiedono una coscienza critica e non si coprono il capo con il velo. Intreccia la Storia con le storie dei suoi personaggi. Tutto questo produce qualcosa di originale e poco accomodante, qualcosa di decisamente rivoluzionario se pensiamo all’Egitto degli anni ‘50.
Chahine passa attraverso guerre e censure, vede nascere lo stato di Israele, inasprirsi le tensioni sociali e il potere degli integralisti, ma continua a credere nel suo paese e negli egiziani. Lui raccontava e sognava un’Alessandria cosmopolita, una città “dove c’era la straordinaria intelligenza di vivere tra differenti etnie e religioni. Come abbiamo potuto perderla? Abbiamo vissuto questa intelligenza. A chi giova distruggerla?” Chahine è morto al Cairo nel 2008. Non ha mai smesso di essere un ribelle e un sognatore e, soprattutto, di amare il suo paese e la “gente del Nilo”.
La rassegna a lui dedicata si componeva di sette film. Tra questi ricordiamo:
Sira’Fi al-Wadi (Cielo infernale) del 1954, apparentemente solo un grande melodramma alla Matarazzo con la coppia Omar Sharif (Ahmed) e Fatan Hamama (Amal). In realtà la storia d’amore tra la giovane coppia è solo il pretesto per parlare della prima grande riforma agraria dopo la rivoluzione dei Liberi Ufficiali del ’52. In Cielo infernale l’emancipazione dei braccianti viene ostacolata dall’enorme potere del Pascià, padre di Amal. Ahmed è figlio di contadini ma ha studiato e ha saputo migliorare la qualità della canna da zucchero della sua gente, ottenendo un prezzo di vendita superiore alle aspettative. Il Pascià non accetta il progredire dei suoi braccianti e, meschinamente, ne distrugge il raccolto. La strada verso una giusta risoluzione del conflitto sociale è lunga e dolorosa. Ahmed è l’uomo nuovo: appartiene al popolo, ma ha studiato, conosce i suoi diritti e non è corrotto. Secondo la visione del mondo di Chahine, è a lui che deve appartenere il futuro. Ahmed dovrà pagare un prezzo molto alto: la morte del padre, che viene ingiustamente condannato a morte, ma alla fine l’amore e la giustizia potranno trionfare.
Bab al-hadid (Stazione centrale) del 1958 è uno dei suoi film più controversi. Fischiato durante la prima in Egitto anche dai familiari del regista è poi diventato un grande classico del cinema arabo, uno degli esempi più alti del neorealismo egiziano. Lo stesso Chahine interpreta il personaggio principale del film, Kenaoui: un reietto, storpio e senza dimora, tormentato dall’ossessione per le donne che, data la sua condizione, può soltanto desiderare. Il venditore di giornali del chiosco all’interno della stazione del Cairo gli offre una baracca in cui sistemarsi. Kenaoui diventa il suo aiutante e si aggira osservando i passeggeri, spiando le loro storie e i loro addii. L’oggetto del suo desiderio è Hanouma (Hind Rostom), provocante venditrice abusiva di bibite che Kenaoui sogna di poter sposare. Non potendolo fare, continuamente deriso e umiliato, decide di ucciderla. La bella Hanouma è fidanzata con il rappresentante sindacale dei facchini ed ha l’esuberante e sfacciata bellezza della pescivendola Sophia Loren in Pane, amore e… Mostra disinvolta le belle gambe e la profonda scollatura, si concede al suo fidanzato e disubbidisce a chiunque le dia saggi consigli. Ed è decisamente troppo per uno spettatore egiziano degli anni ’50.
An-Nil Fi Al-Ayat / Al-Nas Va Al-Nil (Gente del Nilo) del 1968 è una coproduzione sovietico-egiziana. Chahine avrebbe dovuto celebrare la diga di Assuan, inaugurata nel 1964 e frutto della collaborazione tra Egitto e Russia. In realtà il film non è celebrativo, tra le righe si legge il rimpianto per tutto ciò che dopo la costruzione della diga andrà irrimediabilmente perduto, come il villaggio della Nubia che vediamo sommerso dalle acque. Anziché celebrare la Storia e il trionfo dell’ingegneria socialista, il regista riflette sulla vita dei protagonisti: l’amicizia tra un tecnico russo e un operaio nubiano; la nostalgia di un ingegnere per la neve della Russia; la frustrazione delle donne straniere abituate in patria a lavori dirigenziali di grande responsabilità che si ritrovano in Egitto a non poter lavorare né, tantomeno, ad avere incarichio che le metta in posizione di superiorità rispetto ad un uomo.
I paesi che commissionarono il lavoro, Egitto e Russia, non accettarono il film e imposero un nuovo montaggio. Chahine riuscì a far uscire clandestinamente dal Paese una copia del lavoro originale e ad inviarla alla Cinémathèque française che nel 1996 provvide al restauro della pellicola.
Iskanderija….lih? (Alessandria perché?) del 1978, è un film autobiografico e uno dei più conosciuti del regista. Yahia è Chahine adolescente: uno studente del Collegio Victoria di Alessandria, appartenente ad una famiglia colta e progressista ma con scarse risorse economiche. A scuola si fa notare per la sua passione per il teatro. Più che dalle ragazze è attratto dal cinema hollywoodiano e sogna di poter andare in California e diventare attore e regista. Una missione che, in modo rocambolesco, riuscirà a portare a termine. Chahine intreccia la sua storia e quella della sua famiglia con la grande Storia del suo paese e del mondo: la Seconda guerra mondiale; la presenza inglese in Egitto e quindi la speranza, da parte di alcuni, che Hitler vinca la guerra e li sconfigga; le trame degli integralisti per prendere il potere; il rifiuto dello stato di Israele da parte di alcuni ebrei arabi, perché “non si può affermare un diritto se questo lede il diritto di un altro”; l’omosessualità non dichiarata di un cugino e altro ancora. Il tutto raccontato con ironia e humour al ritmo di un film sull’ambiente del college girato a Hollywood.