di Renato Venturelli
Il 72° festival di Cannes comincia nel nome di Jarmusch e dei morti viventi, ma lascia anche la strana sensazione di cominciare all’insegna di un cinema zombie avviluppato su se stesso e su una stanca ironia.
Dopo i vampiri di “Solo gli amanti sopravvivono”, Jarmusch passa in The Dead Don’t Die a raccontarci la non-vita in una cittadina americana di provincia, dove i morti escono dalle tombe per aggredire e divorare gli abitanti, secondo quella che è stata subito interpretata come una satira anche abbastanza ovvia dell’America trumpiana. Le riprese della provincia Usa sfoggiano il consueto repertorio visivo a base di diner e motel, inquadrature fisse frontali e simmetriche, personaggi che si fronteggiano pronunciando battute con tono forzatamente inespressivo, un’iconografia che esibisce sempre e comunque il modo in cui tutto questo è già stato rappresentato.
Bill Murray, Adam Driver e Chloe Sevigny sono i poliziotti, Tilda Swinton va in giro con la katana a tagliar teste di netto agli zombi, prima di venire assunta in cielo. Ma il gioco di Jarmusch si fa particolarmente pesante anche sul piano delle citazioni cinematografiche, con situazioni personaggi e nomi attingono ostentatamente a film precedenti dello stesso regista, mentre i riferimenti ai classici dell’horror si sprecano. E quando a un certo punto Murray chiede ad Adam Driver come fa a capire sempre in anticipo quello che sta per succedere si sente rispondere”perché ho letto l’intera sceneggiatura, non solo la mia parte”. E’ un tentativo di raccontare l’incubo dell’America di oggi e un tracollo più generale dell’umanità attraverso brandelli di cinema, ma il gioco rimane abbastanza scontato anche se il racconto è pervaso da un’atmosfera di scettica rassegnazione per certi versi riuscita.