di Aldo Viganò.
“Noi”, in originale “Us” come United States, è un horror ideologico, che ammicca a “L’invasione degli ultracorpi” (ma anche a “La notte dei morti viventi” o ad altri film sui replicanti) e che esteticamente si dipana in una serie di citazioni più o meno colte che vanno dal calligrafismo di Dario Argento all’intellettualismo di Stanley Kubrick (in alcune sequenze, soprattutto quelle oniriche, “Shining” la fa da padrone).
Scritto e diretto da Jordan Peele, il quarantenne newyorkese di colore che due anni fa fece incetta di nominations all’Oscar con il suo film d’esordio cinematografico, “Get Out”, (vincendo quello per la migliore sceneggiatura), questo suo secondo lungometraggio si propone come un’allegoria di “genere”, incorniciata in un arco di tempo ben preciso: cioè tra domenica 25 maggio 1986 – quando nell’America di Ronald Reagan si svolse una grande catena della pace contro la fame nel mondo cui parteciparono sei milioni e mezzo di persone con la raccolta di quindici milioni di dollari – e un oggi su cui incombe l’invadente ombra (suggerita, ma mai neppure citata) di Donald Trump.
Tutto si svolge nel californiano luogo di villeggiatura di Santa Cruz, dove nel prologo datato 1986 Adelaide bambina giunge insieme ai genitori, si perde nel luna park, sino a che nel labirinto degli specchi s’incontra con il doppio di sé, uscendo da questa esperienza fortemente tramautizzata. Con una elisse di più di trent’anni, il film mostra poi Adelaide ormai sposata, che, pur recalcitrante, viene condotta in vacanza nella stessa città, con due figli ormai adolescenti, da un marito che sembra la copia comportamestica di suo padre.
A Santa Cruz la famigliola di colore incontra una coppia di amici bianchi con due figlie. Il colore della pelle, come le diverse condizioni economiche, non sembrano avere alcun peso. L’apparenza è quella di una vacanza borghese come tante altre.
Se non fosse che, la sera, sul vialetto d’ingresso della villa affittata dai nuovi venuti si concretizzano improvvisamente le ombre di quattro intrusi, i quali si rivelano essere i loro doppi, vestiti di rosso e armati di forbici.
L’horror ha così inizio. Dando origine a un film di paura, violenza e sangue che si allarga ben presto anche a tutta la città. Con i suoi abitanti, bianchi o neri, senza distinzione, sgozzati dai loro replicanti; i quali poco alla volta vanno a formare, tenendosi per mano, una grande catena rossa, che circonda le strade cosparse dai cadaveri e dalle quale solo i protagonisti potranno infine scappare a bordo di un’autoambulanza.
Il perché proprio loro lo si venire a sapere (almeno in parte) solo alla fine del film. E sarà ancora una volta una spiegazione tra il psicologico e l’ironico, tra il beffardo e il politico.
Come già in “Get Out”, Jordan Peele pone al centro del proprio film la questione razziale, ma questa volta tende a darla soprattutto come una cosa scontata. Non come il motore dell’azione. In fin dei conti, tra vittime e carnefici, non c’è differenza di colore di pelle. I bianchi sono uccisi dai bianchi, come i neri devono fare i conti con i loro simili. È l’America tutta a essere malata e bisognosa, sembra di intuire, di un cordone sanitario. E anche il coloro rosso dei carnefici non sembra avere più alcuna specifica valenza ideologica. Il pericolo comunista appartiene ormai al passato. Il pessimismo di Peele è molto più radicale. Il male alberga dentro di noi.
Anche se si ha l’impressione che il primo a credere poco in quello che sta raccontando sia proprio lui. Prigioniero com’è del fascino figurativo (e sonoro) di quello che sta mettendo in scena. E sin troppo compiaciuto del gioco di rispecchiamento delle numerose citazioni, nelle quali il film indulge, rasentando sovente l’intellettualismo più calligrafico.
Se questo è il limite più evidente del film, resta però il fatto che, sino a che non la regia non ambisce troppo ad andare oltre, “Noi” si dimostra essere un horror di prima qualità. Ben strutturato e ottimamente girato. Sapientemente cadenzato tra l’alternarsi dei primi piani e di efficaci piani sequenza. Ricco di situazioni interessanti e di effetti narrativi coinvolgenti. Cioè, un sempre più raro esempio dell’oggettiva capacità di fare del cinema.
Un cinema che a ben vedere non avrebbe avuto bisogno di involversi dentro a non sempre chiare implicazioni ideologiche o, tanto meno, a non necessarie suggestioni psicanalitiche (a proposito di “Noi” qualcuno ha citato Freud e il suo saggio “Il perturbante”), di cui si sarebbe volentieri fatto a meno.
NOI
(US, Stati Uniti 2019) regia e sceneggiatura: Jordan Peele – fotografia: Mike Gioulakis – musica: Michael Abels – scenografia: Ruth De Jong – montaggio: Nicholas Monsours. interpreti e personaggi: Lupita Nyong’o (Adelaide Wilson), Winston Duke (Gabe Wilson), Elisabeth Moss (Kitty Tyler), Tim Heidecker (Josh Tyler), Yhaya Abdul-Mateen II (Dr. David Stone), Anna Diop (Susan Stone), Evan Alex (Jason Wilson), Shahadi Wright Joseph (Zora Wilson), Madison Curry (Adelaide bambina), Cali Sheldon (Gwen Tyler), Noelle Sheldon (Maggie Tyler), Kara Hayward (Nancy). distribuzione: Universal Pictures – durata: unora e 56 minuti