di Renato Venturelli.
Un film cupo e ossessivo, ma condotto secondo le regole smaliziate di un thriller pronto per il mercato internazionale. Presentato in concorso al TFF, “Vargur / Vultures” è il film d’esordio di un regista islandese che ha già una solida esperienza nel campo della televisione, ed è del resto prodotto da un personaggio ormai affermato anche nel cinema hollywoodiano come Baltasar Kormakur, il regista di “Contraband”, “Cani sciolti”, “The Oath – Il giuramento”.
Motori della vicenda sono qui due fratelli trentenni dal carattere opposto. Uno è un pregiudicato dal carattere più instabile ed emotivo, l’altro è invece un freddo avvocato alla moda, che veste elegantemente e lavora in uno studio affermato. Insieme, decidono di tentare il colpo grosso importando una partita di droga dalla Danimarca, e finanziandola con soldi che l’avvocato pensa di poter distogliere momentaneamente da una delle cause legali di cui si sta occupando.
L’imprevisto starà però nel fattore umano: la ragazza polacca (Anna Prochniak) che deve portare gli ovuli nel proprio stomaco si sente male a bordo dell’aereo, ne vomita un paio, ne perde un terzo nella toilette. E quando all’arrivo viene prelevata e portata in una camera d’albergo perché espella gli altri continua a peggiorare, fino a far precipitare la situazione. L’avvocato non può restituire i soldi finché l’operazione non viene conclusa, ritrovandosi così in emergenza sul lavoro. Il pregiudicato non riesce più a controllare gli eventi, la ragazza viene sballottata da un posto all’altro, peggiora, si ritrova nella condizione in cui abbiamo già visto altre ragazze usate come corrieri del narcotraffico, alla maniera della protagonista di “Maria Full of Grace”, il film di Joshua Marston di qualche anno fa.
Il terreno è da una parte quello tipico del thriller, con la morsa che a poco a poco si chiude inesorabile intorno ai due fratelli, una poliziotta di origine serba che ha intuito tutto e s’è messa sulle loro tracce, un gran finale a base di sparatorie e astuzie in un grattacielo vuoto all’interno di un cantiere in costruzione.
Al tempo stesso, però, si tratta di un film ossessivo sull’angoscia dei personaggi, sul senso di morte quasi certa che a poco a poco pervade la ragazza, il problema etico continuamente condizionato dalla pressione della polizia, dell’organizzazione criminale, del mondo legale che restringono progressivamente gli spazi d’azione e quindi rendono impossibile il salvataggio della ragazza. Gli autori dicono anche di aver voluto fornire con questa vicenda un quadro morale dell’Islanda dietro la sua facciata di paese tranquillo, attraverso le diverse figure di “avvoltoi” cui allude il titolo. Gli ingredienti ci sono insomma tutti, all’interno di un prodotto non particolarmente originale, ma sempre condotto guardando innanzitutto ai personaggi, ai loro conflitti e alle loro angosce: e con un ritmo e un montaggio sempre incalzante sul filo delle emozioni anziché della pura azione.