TFF 2018 – “The Guilty” di Gustav Möllern

di Juri Saitta.
Nella storia della settima arte le sfide formali e narrative difficili sono state spesso l’occasione per “giocare” con il linguaggio cinematografico e, nei casi più importanti, per riflettere più o meno direttamente sul mezzo stesso. In tale direzione, l’esempio più significativo è quello di Alfred Hitchcock, che con “Nodo alla gola” ha lavorato sul piano sequenza e che con il metacinematografico “La finestra sul cortile” ha costruito un giallo nel quale colui che indaga è costretto su una sedia per tutta la vicenda.
Pur non avendo la genialità e la profondità testuale del maestro britannico, anche il giovane ed esordiente regista danese Gustav Möllern con “The Guilty” si è cimentato con un compito piuttosto arduo da portare avanti, quello di realizzare un thriller che si svolge interamente al telefono.
Il film vede come protagonista Asger Holm, un poliziotto che per una serie di eventi drammatici è stato declassato al centralino delle forze dell’ordine, dove ha il compito di rispondere alle chiamate d’emergenza. Un giorno, l’uomo si troverà di fronte a un caso di omicidio e rapimento che dovrà risolvere totalmente dalla sua postazione.
Quella di mantenere le fila della suspense adottando solo il punto di vista di un uomo al telefono e tenendo fuori campo tutti i volti e tutte le azioni degli altri personaggi centrali era una prova piuttosto ardua, che richiedeva ingegno, fermezza e coerenza. Una sfida non facile, che l’opera in questione è riuscita comunque a superare.
I meriti più visibili di tale risultato vanno sicuramente all’intensa prova dell’attore protagonista Jakob Cedergren e a una sceneggiatura che riesce a lavorare bene sia sul piano del racconto sia su quello più prettamente psicologico. Lo script, infatti, da un lato costruisce una storia ricca di colpi di scena che tengono alta l’attenzione dello spettatore, mentre dall’altro delinea un protagonista interessante e non banale, in quanto complesso e contradditorio, dal passato oscuro e dal futuro incerto, che cerca di mantenere la calma e, soprattutto, di trovare l’occasione per il proprio riscatto professionale e personale.
Una serie di elementi ben sottolineati anche dalla regia di Möllern, le cui qualità sono magari meno lampanti di quelle della scrittura e della recitazione, ma altrettanto importanti ed efficaci per la costruzione della suspense. Qui, infatti, il cineasta danese sfrutta lo spazio e l’illuminazione con precise finalità drammatiche, soprattutto nella seconda parte, quando per evidenziare l’intricarsi della vicenda fa spostare il poliziotto in una stanza piuttosto buia e isolata, che serve appunto a imprimere anche visivamente la particolare importanza del momento narrato.
Una scelta di regia magari semplice, ma che dimostra comunque quanto l’opera riesca a lavorare su diversi livelli espressivi, superando anche per questo il difficile compito che aveva di fronte.
Tutte caratteristiche notate e apprezzate tanto dalla critica quanto dagli spettatori, come dimostrano i tre premi che il thriller ha vinto al 36° Torino Film Festival (miglior attore, miglior sceneggiatura e il premio del pubblico) e il suo inserimento nella “short list” per la candidatura all’Oscar come “miglior film straniero”.

Postato in 36° Torino Film Festival.

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