di Renato Venturelli.
Passato nella sezione After Hours, “El Reino” è un film spagnolo dal ritmo serratissimo e incalzante, diretto da quel Rodrigo Sorogoyen che un paio d’anni fa s’è segnalato al pubblico intenazionale col thriller “Che Dio ci perdoni”, procedural sulla caccia a un serial killer, naturalmente uscito in Italia direttamente in video anziché passare dalle sale.
Di quel film, Sorogoyen mantiene lo stesso protagonista Antonio De La Torre (visto in “La vendetta di un uomo tranquillo”, “Ballata dell’odio e dell’amore”, “La isla minima”), ma lascia da parte gli spunti thrilling più codificati per puntare invece su un argomento d’attualità: la corruzione dell’ambiente politico, e le reazioni di chi all’improvviso da una posizione di potere e rispettabilità si ritrova esposto alla pubblica gogna.
Protagonista di “El Reino” è Manuel Lopez-Vidal (De La Torre), un rampante politico di provincia già pronto a subentrare al leader della sua regione e a cominciare un’irresistibile scalata nazionale. Ma quando esplode all’improvviso lo scandalo per un giro di mazzette che dura da sempre, capisce che il partito ha deciso di abbandonare proprio lui nelle mani dei giudici e dei media, salvando invece chi è compromesso allo stesso modo sia a livello locale che nazionale. E a quel punto decide di reagire, andando a procurarsi le prove in grado di incastrare chi lo ha scaricato.
Il quadro è quello di una corruzione generale che coinvolge tutti, ma all’interno della quale si elaborano continue strategie per isolare capri espiatori e poter procedere senza compromettere il sistema. E la scelta di Sorogoyen consiste nel mostrarci un protagionista in continuo movimento, prima nell’euforia dell’amministrazione del suo potere, tra pranzi lussuosi, incontri coi potenti, scalate politiche e complicità imprenditoriali; poi, raccontando a ritmi frenetici il suo disperato tentativo di sfuggire al destino confezionatogli dai capi di partito, la lotta contro il tempo che a un certo punto diventa anche lotta per la sopravvivenza.
Adottando il punto di vista del suo protagonista, il film finisce per sottrarsi al taglio moralista della critica a una politica corrotta, per raccontarci anche la storia di un uomo deciso a non farsi incastrare e a coinvolgere anche gli altri colpevoli nella sua caduta. Lo spettatore si ritrova così a vivere le situazioni dal punto di vista di un personaggio che disprezza, ma col quale è chiamato almeno parzialmente a identificarsi. E se l’insieme ha qualcosa di artificioso, culminando in alcune scene forzate (ad esempio, l’irruzione nella villa di un altro politico, ingannandone la figlia), il film mantiene sempre un suo ritmo furibondo: la politica come azione ininterrotta, lotta continua per la sopravvivenza in un ambiente totalmente cinico, dove tutti sono sempre pronti a tradire tutti.