di Juri Saitta.
Il filippino Brillante Mendoza ha dimostrato con opere come “Kinatay” e, in parte, “Ma’ Rosa” di essere un regista capace di unire uno stile filmico molto realista e semidocumentaristico con una narrazione vicina al cinema di genere, in particolare al thriller e al poliziesco. Una caratteristica che l’autore conferma anche nella sua ultima fatica “Alpha, the Right to Kill”, presentata al 36° Torino Film Festival nella sezione After Hours.
Basato su episodi realmente accaduti, il film è incentrato sul contrasto al narcotraffico e vede come protagonista Moises Espino, il poliziotto a capo della squadra antidroga, un uomo che nel corso della vicenda si rivelerà a sua volta corrotto e pericoloso, in quanto spaccia parte delle sostanze che sottrae ai criminali. Questo avvalendosi del contributo dell’informatore Elijah, un giovane pregiudicato che obbedisce a ogni ordine per non rischiare di tornare in prigione.
Nel raccontare tale vicenda, il cineasta asiatico dà prova di un forte senso del ritmo e di una buona sapienza enunciativa, in quanto riesce a partire quasi subito con le azioni più incalzanti dei personaggi mantenendo al contempo una certa gradualità nel dosaggio delle informazioni su di loro. Un’unione tra concisione e progressione che ricorda da vicino sia alcuni b-movie hollywoodiani anni Quaranta e Cinquanta sia la filmografia di un Don Siegel o di un Walter Hill.
Il tutto portato avanti con uno stile visivo molto vicino al documentario, in cui le riprese vengono realizzate in posti reali e la regia sembra impegnata a descrivere i vicoli intricati e i mercati affollati di Minala, nei quali la cinepresa s’intrufola seguendo i svariati movimenti dei personaggi.
Questo in un’opera che – come in parte del noir anni Cinquanta – affronta in modo diretto i problemi della polizia, della sua corruzione, del suo abuso di potere e della sua violenza, come emerge nella sequenza dell’operazione antidroga, dove si mostrano militari dalla pistola facile e dai metodi poco ortodossi.
Un elemento tematico che il regista espone in maniera molto chiara ed esplicita, a volte persino troppo, rischiando in alcuni momenti di essere un po’ didascalico e scopertamente programmatico, in quello che è il difetto più evidente del titolo in questione.
Al tempo stesso, però, “Alpha, the Right to Kill” possiede un livello di complessità e di stratificazione piuttosto profondo e interessante, in quanto è un film che – dietro alle sequenze d’azione e alla lampante denuncia politica – descrive le disparità e le ingiustizie socioeconomiche presenti nel Paese.
Un aspetto evidente soprattutto nella seconda parte, strutturata perlopiù da un montaggio alternato che ritrae parallelamente la quotidianità del poliziotto e quella dell’informatore, facendone emergere affinità e divergenze. Così, se da un lato i due hanno destini e situazioni familiari simili (entrambi sono sposati con figli ed entrambi agiscono contro la legge), dall’atro versano in condizioni materiali ed esistenziali assolutamente distanti: la casa a due piani per Moises, la baracca poco attrezzata per Elijah; la rispettabilità piccolo borghese per l’autorità, l’invisibilità sottoproletaria per il ragazzo; gli onori pubblici per l’uomo in divisa, la diffidenza dello Stato per il pregiudicato.
Tutto ciò in un’opera senza fronzoli e dal piglio deciso che ha il grande merito di unire in modo compatto ed efficace uno scattante ritmo narrativo, uno stile documentaristico e una certa stratificazione tematica, risultando per questo uno dei titoli migliori visti durante la 36a kermesse torinese.