“Opera senza autore” di Florian Henckel von Donnersmarck

di Aldo Viganò.

Un film sulla storia della Germania, raccontato dal punto di vista dell’evoluzione artistica e messo in scena con il tono di un melodramma dalla struttura narrativa di un serial televisivo.

Regista sopravvalutato per il suo lungometraggio d’esordio (La vita degli altri), e anche per questo giudicato dai più deludente alla prova del seguente The Tourist, il quarantacinquenne von Donnersmarck ritorna con il suo terzo film, a distanza di dodici anni, nel ruolo che più gli appartiene: quello di un accorto professionista, produttore di opere che mescolano astutamente la Storia (quella con la esse maiuscola) con un impianto drammaturgico da saga famigliare.

Ed ecco, appunto, “Opera senza autore”. Un film liberamente ispirato alla vita del pittore tedesco Gerhard Richter (classe 1932), nel quale il protagonista, dopo di aver attraversato indenne il nazismo e la non facile esistenza nella Germania dell’est, approda al successo internazionale con i suoi foto-dipinti “senza autore”, capaci di coniugare realtà e immaginazione.

Tutto ha inizio nel 1937 quando il piccolo Kurt Barnert (questo il nome del personaggio) viene accompagnato dall’amata zia a una delle tante mostre di “arte degenerata” voluta dal nazismo per sbeffeggiare la modernità. Nonostante le parole di scherno della guida, alla zia i quadri esposti piacciono e cerca di trasmetterne il fascino al nipotino; ma il suo comportamento “diverso” la condurrà ben presto al manicomio e poi al campo di sterminio programmato dai nazisti per i malati di mente.

Chi firma l’esecuzione della ragazza è un medico (Sebastian Koch) che, grazie alla protezione di un ufficiale russo, riesce  a conservare il proprio posto anche nel regime staliniano della DDR e che l’ignaro Kurt ritrova come futuro suocero tra le macerie della ricostruenda Dresda, dove ora egli studia pittura adeguandosi ai canoni del realismo socialista ed è legato sentimentalmente proprio alla figlia del poco raccomandabile medico.

Tra schematiche riflessioni sull’arte e più convincenti sequenze dedicate alla nascita e alle conseguenze di quell’amore giovanile (la gioiosa scoperta del rapporto fisico, la silente complicità della madre di lei, l’aborto imposto per false ragioni scientifiche dal terribile padre), la vicenda si trasferisce poi a Ovest, dove giungono separatamente sia i genitori di lei (in fuga per il venir meno della protezione dell’ufficile stalinista), sia i due ragazzi, che ormai sposati, nonostante tutto, vi riescono a fuggire pochi giorni prima della costruzione del muro.

Come s’addice al “melò” storico così impostato nella prima parte del film, a Dusseldorf Kurt scopre la difficoltà di essere artista in un mondo libero in trasformazione (le quasi comiche sequenze della vita all’interno della scuola d’arte che egli frequenta). Ma pur faticosamente trova la propria strada verso l’affermazione artistica. Mentre sua moglie, scoperti  i danni provocati sul suo corpo dal padre, inizia a detestarlo. L’amore comunque infine trionfa. E compie i miracoli. La giovane moglie, infatti, rimane incinta nonostante le pessimistiche previsioni dei medici. Kurt espone in una mostra personale le proprie opere, ottenendo un clamoroso successo. La giustizia occidentale si avvicina sempre più ai crimini nazisti perpetrati dal padre di lei.

Dopo più di tre ore (ma non sorprenderebbe se la Rai, coproduttrice del film, avesse già pronta anche una versione televisiva molto più lunga), il film si avvia con leggerezza verso la fine, che sarà anche un omaggio alla memoria della zia uccisa dalla follia nazista.

Questa è la storia della Germania secondo von Donnersmarck. Una superficiale carrellata sentimentale e in fin dei conti ottimista sulle grandi tragedie del “secolo breve”. Un film fondamentalmente più vicino alla televisione che al cinema. Il lungo scorrere di sequenze senza profondità, da cui emergono la forte esperienza attoriale di Sebastian Koch e la bella presenza dei corpi di tutti i giovani interpreti: sia femminili che maschili.

 

OPERA SENZA AUTORE

(Never Look Away, Germania – 2018) regia, soggetto e sceneggiatura: Florian Henckel von Donnersmarck – fotografia: Caleb Deschanel – musica: Max Richter – scenografia: Silke Buhr – costumi: Gabriele Binder – montaggio: Patrick Sanchez-Smith. interpreti e personaggi: Tom Schilling (Kurt Barnert), Sebastian Koch (prof. Carl Seeband),  Paula Beer (Ellie Seeband), Saskia Rosendahl (Elisabeth May), Oliver Masucci (prof. Antonius van Verten), Ina Weisse (Martha Seeband), Florian Bartholomäi (Günther May), Hans-Uwe Bauer (prof. Horst Grimma), Rainer Bock (dr. Burghart Kroll), Jonas Dassler (Ehrenfried May). distribuzione: 01 Distribution – durata: tre ore e otto minuti

 

 

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