“Loro” 1 e 2 – di Paolo Sorrentino

di Aldo Viganò.

Dopo averne visto (con non poca fatica) anche la seconda parte, che cosa si può scrivere ancora del dittico Loro? Probabilmente vale solo constatare che è un film fondamentalmente irrisolto almeno in proporzione alle sue non celate ambizioni.

Un atto di presunzione quello di Paolo Sorrentino che non riguarda tanto l’argomento affrontato (il suo ottavo lungometraggio non aggiunge nulla di nuovo alle cronache giornalistiche relative alla telenovela dei rapporti di Berlusconi con la politica, con la moglie, con le ragazzine e con le donne in genere), quanto le sin troppo esplicite finalità autoriali, certificate anche dall’ostentato ricorso a citazioni di classici altrui, quali quelle del finale di Zabrinski Point di Antonioni (l’esplosione “en ralentì” di un mondo che riempie lo schermo di immondizie) o dell’immancabile La dolce vita: già saccheggiata in  La grande bellezza e ora maldestramente parafrasata in un finale in cui il Cristo benedicente non sorvola più una Capitale corrotta, ma la sua statua (in atteggiamento ferito e proveniente da una Pietà) viene calata da una  gru tra le macerie del terremoto dell’Aquila.

La prima impressione è che Loro sia un film nato male e peggio ancora portato a termine. O che, per utilizzare un’immagine sintetica, sia un dittico (inventato come tale solo da un sistema distributivo in cerca di “merchandising”)  che, mentre vorrebbe raccontare la corruzione del mondo contemporaneo, riesce solo a essere una riproposta degli schemi narrativi e stilistici di La grande bellezza (opera già a suo tempo molto sopravvalutata) conditi nella cronaca politica “radical chic” e immersi in una melassa esistenziale dove si mescolano sesso e solitudine, sfrenato culto di se stesso e melodrammatico patetismo.

Facendo seguito a un prima parte introdotta dalla dichiarata volontà di assumere sulla vicenda raccontata lo sguardo ingenuo dell’agnello sacrificale, che nel prologo del film si affaccia sulla reggia sarda del “berlusconismo” (e per questo cade subito stecchito: metafora alquanto maldestra), e votata a proseguire per più di un’ora in un guazzabuglio di immagini che (forse) vorrebbero ricordarsi di Scorsese (The Wolf of Wall Street), ma che alla resa dei conti riescono solo a riprodurre lo stile “tette e culo” delle prime trasmissioni promosse dalle televisioni del Biscione, Loro imbocca poi una strada narrativa che privilegia la solitudine di un “tycoon” condannato (suo malgrado?) ad aggirarsi nella sua Versailles o al massimo a dialogare con i propri fantasmi o alter ego: in forma dichiarata o appena camuffata ci sono tutti, dal fratello Paolo a Mike Buongiorno, da Confalonieri a Morra, da Tarantini ad Apicella, dalle “olgettine” alla D’Addario, da Noemi a Veronica Lario.

Tra la fenomenologia della fine di un amore coniugale alla tentazione erotica del moltiplicarsi delle “serate eleganti” ai bordi della piscina, il film prosegue senza un ordine preciso e senza offrire veri nodi drammatici. Tutto accade nel modo più prevedibile, ma anche incartato in immagini patinate e in dialoghi sovente imbarazzanti, che alternano battute da feuilleton ( “Ho chiuso il sipario della nostra vita comune”)  a sentenze che vorrebbero riassumere il personaggio assunto come protagonista: “Io non ascolto, capisco” o “La verità è il frutto del tono e della convinzione con cui la affermiamo”.

C’è un dominante tono di tristezza in questa programmatica messa a nudo di un re edonista e senilmente sporcaccione, dalla quale sortisce una rappresentazione grottesca del suo potere economico e politico, nonostante il quale non riesce però ad elevarsi sin ad attingere quella universalità cui Sorrentino pur evidentemente aspira.

Quello che ne consegue è un film pasticciato ma molto ambizioso, elegante e volgare insieme, in cui convivono i toni alti e bassi, le divagazioni morbose e le sottolineature di particolari che poco concorrono a costruire il senso del tutto. Un film che anche nella recitazione risulta alquanto indeterminato, offrendo ai suoi pur valenti interpreti delle indicazioni che privilegiano la messa in maschera dei personaggi più che la loro autonoma esistenza pur nei toni del grottesco.

Tutto cose, queste, che concorrono infine a fare di Loro un film sovente incomprensibile nelle sue motivazioni, soprattutto perché queste stentano molto a definirsi nella specificità del linguaggio cinematografico: anzi, credo che sia proprio la indeterminatezza di questo linguaggio che fa di Loro un film (anzi due) sul quale incombe una imbarazzante patina di presunzione (di chi lo ha messo in scena) e di noia: per chi si è disposto a esserne spettatore, pur con le migliori intenzioni.

 

LORO 1 e 2

(Italia – Francia, 2018) Regia e soggetto: Paolo Sorrentino – sceneggiatura: Paolo Sorrentino e Umberto Contarello – fotografia: Luca Bigazzi – musica: Lele Marchitelli – scenografia: Stefania Cella – costumi: Carlo Poggioli – montaggio: Cristiano Travaglioli. Interpreti e personaggi:  Toni Servillo (Silvio Berlusconi / Ennio Doris), Riccardo Scamarcio (Sergio Morra), Elena Sofia Ricci (Veronica Lario), Kasia Smutniak (Kira), Euridice Axen (Tamara), Fabrizio Bentivoglio (Santino Recchia), Roberto De Francesco (Fabrizio Sala), Dario Cantarelli (Paolo Spagnolo), Anna Bonaiuto (Cupa Caiafa), Ugo Pagliai (Mike Bongiorno), Mattia Sbragia (Fedele Confalonieri), Roberto Herlitzka (Crepuscolo). Distribuzione: Universal Pictures – durata: 100′ + 104′

 

 

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