Festival di Cannes 2018 – “Rafiki” di Wanuri Kahiu

di Renato Venturelli.
Forse più ancora del solito, Cannes 2018 trabocca di film scelti per il loro valore politico, in una direzione che in molti casi finisce per essere sospesa tra la meritoria denuncia di situazioni precise e un più generale adeguamento a un’ideologia dominante che è quella adottata dal festival, con esiti particolarmente problematici quando si toccano argomenti controversi come le guerre in Ucraina o in Siria dove sono in ballo precisi interessi euroamericani.

Selezionato per “Un certain regard”, “Rafiki” è un film per molti versi esemplare. Inizia con immagini rapide, coloratissime, clippate, in una sorta di rappresentazione della gioventù kenyota in chiave Mtv. Ma a poco a poco prende corpo il rapporto sempre più stretto tra due ragazzine, figlie di due opposti candidati politici alle elezioni locali: e quando i loro incontri segreti vengono scoperti, il film scivola nel melodramma, mostrando le feroci reazioni di uomini e donne del posto davanti a quel rapporto omosessuale.

A dirigere “Rafiki” è Wanuri Kahiu, regista 37enne nata a Nairobi, ma che ha studiato cinema all’UCLA di Los Angeles, è stata sul set di “Catch-a-Fire” di Phillip Noyce, ha fondato insieme ad altri la compagnia Afrobubblegum ed è esponente di un nuovo cinema africano molto lontano dalle generazioni che si erano formate a Mosca. “Rafiki” è un film sicuramente di denuncia, censurato in patria, dove si ricordano le pene cui è esposto in Kenya chi viene condannato per omosessualità, si invitano le nuove generazioni a uscire dai pregiudizi e dalle ipocrisie della “tipica ragazza kenyota”: al tempo stesso, però, costituisce una sorta di aggiornamento con temi e modi di un cinema globalizzato. Semplice, leggero, efficace, ma a sua volta estremamente convenzionale.

Postato in Festival di Cannes.

I commenti sono chiusi.