di Renato Venturelli.
Siamo abituati a veder riflettere sulla Rivoluzione Culturale cinese in termini politici e ideologici, ed è perciò particolarmente felice il modo in cui l’argomento viene affrontato in quest’ultimo film di Feng Xiaogang, uno dei più popolari tra i registi cinesi della generazione sessantenne.
Il titolo internazionale è del resto “Youth”, giovinezza, ed è proprio di quella che il film ci parla: anche in termini autobiografici, perché all’epoca dei fatti raccontati il regista aveva l’età dei suoi stessi protagonisti, e ne aveva condiviso l’esperienza all’interno del reparto militare di arti, musica e danza.
La Rivoluzione Culturale dell’epoca maoista viene infatti raccontata dal punto di vista di un gruppo di ventenni, che nel corso degli anni ’70 si ritrovano arruolati nel reparto artistico dell’esercito e vivono così le loro storie personali di formazione in una sorta di particolarissimo college-movie. Tra le scene di danza, di mensa e di camerata, la prospettiva adottata è quella di una ragazzina senza una vera e propria famiglia, che finisce in quel gruppo proprio sperando di avere dall’istituzione quel rispetto, quel senso di integrazione e quella normalità di rapporti che le sono negati a casa. E attorno a lei si muovono i vari coetanei, in tutto il palpitare di passioni, meschinità, amori, incertezze e prevaricazioni attraverso gli anni che la vita in comune comporta.
La morte di Mao porrà termine alla prima fase di questa formazione artistica, gli anni successivi vedranno poi i ragazzi impegnati nelle varie attività del gruppo, fino alla guerra sino-vietnamita, al trauma della dissoluzione del gruppo, ai cambiamenti epocali della Cina, al ritrovarsi dei ragazzi molti anni dopo… Sono tutti meccanismi consueti del film nostalgico sulla giovinezza, ma qui lo scorrere del tempo, la fine dolorosa delle illusioni e delle attese della vita sono resi con intensità d’emozione, come in un melò anni ’40. E con le due figure principali che si ritrovano per diverse ragioni dolorosamente escluse e respinte da quel gruppo in cui avevano invece riponesto grandi attese, fin quasi a identificarvisi.
L’approccio scelto può naturalmente essere ampiamente spiegato con la necessità di aggirare possibili attriti con la censura, ma la necessità si trasforma in un pregio, e la forza di “Youth” sta proprio nell’affrontare un tema tipicamente ideologico da un punto di vista umano ed emozionale, lasciando che le considerazioni sulla società cinese affiorino attraverso le pieghe del racconto e dei personaggi: a cominciare dalla delusione strisciante per l’utopia di un’uguaglianza irrealizzabile, o dall’esclusione che scatta per le stesse dinamiche interne del gruppo, in una sorta di primato – nel bene e nel male – dell’elemento umano su quello ideologico.