di Renato Venturelli.
Uno dei film più curiosi del FEFF 20 è “The Portrait”, un musical anomalo ambientato nel mondo ovattato della vecchia Manila, alla vigilia della seconda guerra mondiale. In realtà è tratto da una pièce musicale di vent’anni fa, a sua volta ispirata a un classico assoluto della letteratura filippina del dopoguerra: “Portrait of the Artist of a Filipino”, scritto in inglese da Nick Joaquin e imperniato sul momento di passaggio dalla cultura coloniale di matrice ispanica al nuovo colonialismo culturale statunitense. Un testo che in patria è molto noto, pubblicato per la prima volta nel 1950 e poi variamente ripreso nei decenni successivi: una popolarità che rende molto meno eccentrica di quanto possa sembrare l’operazione cinematografica realizzata adesso dal regista Loy Arcenas.
L’intera vicenda si svolge all’interno di un appartamento della buona società filippina, dove due sorelle non più giovani vivono accanto al padre, un grande e famoso pittore che preferisce ormai restare ritirato nella propria stanza. Le due donne faticano però a sopravvivere economicamente e sono costrette a ricorrere all’aiuto del fratello e di un’altra sorella, pienamente inseriti in quella società del denaro e degli affari da cui invece le due protagoniste si ritrovano ai margini. Ma i due parenti hanno smesso di contribuire alle spese proprio perché sperano così di costringere le due sorelle a vendere la casa, già pensando al modo di spartirsene i beni: e l’ultimo quadro dipinto dal vecchio pittore fa gola a molti, scatenando così attorno all’appartamento uno squallido balletto di avidità e rapacità.
Molte battute esplicite rimandano all’evidente costruzione simbolica del racconto, dove la casa fuori dal tenpo con le due sorelle e il vecchio artista rappresentano le radici tradizionali della vecchia Manila, che il mondo nuovo, la guerra e la cultura statunitense stanno per spazzare via in modo definitivo.
L’aspetto più curioso del film sta però proprio nel fatto che si tratta di un musical particolare, dove la musica e le canzoni s’inseriscono in un contesto quotidiano e il taglio stesso del racconto è quello di un dramma anziché di una più convenzionale commedia. E il risultato è una riflessione sulla cultura filippina, le sue radici e in fondo anche i suoi dilemmi attuali, accolta come una sorta di “film nazionale” dell’anno e premiatissima all’ultimo Metro Manila Film Festival.