di Renato Venturelli.
Il cinema d’azione coreano la fa nel suo insieme da padrone al FEFF del ventennale, ma la maggiore sorpresa è forse questo poliziesco diretto dall’emergente Jason Kim, praticamente al suo esordio dopo un primo tentativo indie di cinque anni fa. E il risultato è un film dal ritmo altissimo, in cui i personaggi si definiscono classicamente attraverso l’azione, e quest’ultima si sviluppa a partire dai personaggi.
Al centro della vicenda, due giovani studenti dell’accademia di polizia dal carattere opposto, che diventano amici frequentando i corsi, ma non hanno ancora nessuna esperienza sul campo. Finché una sera incrociano per strada una ragazza, la seguono, scoprono che viene rapita da un misterioso furgone e da quel momento affrontano ogni tipo di ostacolo per risolvere quel caso di cui nessuno sembra ufficialmente aver voglia di occuparsi.
Inseguendo i rapitori e inoltrandosi nel quartiere cinese di Seul, i due riescono a risalire a un edificio fatiscente dove la ragazza viene tenuta prigioniera insieme ad altre coetanee, per un loschissimo traffico di organi che mette seriamente in pericolo la sua vita. E il film riesce a mescolare a gran velocità l’indagine, gli scontri e gli inseguimenti, costruendo un meccanismo tutt’altro che elementare a partire da situazioni primarie: anche perché ai due studenti è vietato occuparsi di indagini, non ricevono alcun aiuto dalle autorità, e la vicenda finisce così per svilupparsi in un vorticoso susseguirsi di complicazioni che vedono i due costretti a sbrigarsela da soli.
Rispetto ad altri film in cui l’intreccio si snoda per scene sostanzialmente statiche, puntando sul respiro tragico dei personaggi ed accendendosi poi in sequenze d’azione brutali e violentissime, qui è tutto l’insieme ad essere invece pervaso da un incalzante dinamismo, dove conta innanzitutto il rapporto tra corpi e spazi, e dove sono sempre le immagini a portare avanti la vicenda: mescolando azione e commedia, ma senza mai scivolare nella banalità action-comedy.