“Hostiles” di Scott Cooper

di Aldo Viganò.

C’era una volta il western. Cioè, un ricco e complesso sistema di codici linguistici, articolato soprattutto in due macro-categorie narrative: quella che raccontava un itinerario spazio-temporale e quella che concentrava la propria “fabula” in un luogo fisico (forte, villaggio, ranch, ecc.) da costruire o da difendere. Poi, a partire dagli anni Sessanta-Settanta, questi codici hanno cominciato a essere trasgrediti e il “genere americano per eccellenza” (Bazin dixit) è andato progressivamente a estinguersi o a sopravvivere solo sporadicamente. Non più come “genere”, comunque; ma solo come “evento speciale”.

Ecco ora, pertanto, l'”evento” “Hostiles” messo in scena da Scott Cooper, nato ad Abigdon tre anni prima della morte di John Ford.

“Hostiles” è un film che almeno formalmente s’iscrive nel primo corno del classico schema suddetto, raccontando la storia di un lungo viaggio dal sud al nord degli Stati Uniti di fine Ottocento, nato dal fatto che il protagonista (un militare dalla lunga carriera) deve, per ordine firmato dal Presidente, scortare, pur contro voglia, un capo cheyenne malato di cancro, e la sua famiglia, dalle zone desertiche del meridione al verdeggiante Montana.

Gli ingredienti del “genere” ci sono tutti: il forte e gli spazi aperti da attraversare, gli indiani che rubano i cavalli e i bianchi sbandati, la violenza e gli agguati, la funzione didascalica del percorso fisico e psicologico compiuto, il sole e la pioggia, le sparatorie e le frecce, anche la preghiera detta sulle tombe scavate nella nuda terra. Ma, inesorabilmente, qualcosa del western classico non c’è più.

Non c’è soprattutto la leggenda del West; ma solo una sua luttuosa storia, messa in scena con un occhio di riguardo al presente. E non c’è neppure l’epicità della pur drammatica conquista di un panteistico rapporto con la natura. Anche la tragedia greca o Shakespeare, e in fin dei conti pure la Bibbia pur più volte citata, hanno ben poco a che fare con i personaggi e le tribolazioni di quel drappello inviato ad adempiere a una missione che ha come esito designato la morte naturale di colui per il quale l’impresa infine si compie (e quella violenta di tanti altri).

Ciò che viene messo in primo piano dal film di Cooper, il quale pur aderisce con sincera passione alle convenzioni del “genere”, è sempre il luttuoso senso della fine di un’epoca.

Il passato di violenza e di ferocia di quei protagonisti (il capitano dell’esercito Christian Bale e il capo indiano Wes Studi) è più detto che vissuto. Siano essi malati terminali o soldati in crisi depressiva, gli “eroi” sono solo stanchi e in cerca di quiete. Per questo, dopo una vita da nemici, finiscono col riconoscersi simili, giungendo a rispettarsi sotto lo sguardo benevolo delle donne: la figlia del capo cheyenne e la donna bianca che ha visto sterminare dai comanches tutta la propria famiglia.

Pur girato con cura e con apprezzabile attenzione per il paesaggio, il film di Cooper ha il principale difetto nel sin troppo esibito tono di un funerale del western, esplicitato anche nel non saper rinunciare (a imitazione dei western degli anni Settanta) a un dichiarato messaggio di fratellanza tra le diverse etnie. Un messaggio che si concretizza, infine, nella stretta di mano tra gli antichi nemici, dopo di essere stato preannunciato dai troppi e verbosi dialoghi tra “diversi” nella pause notturne del bivacco intorno al fuoco.

Ma bisogna anche riconoscere a “Hostiles” almeno il merito di aver saputo valorizzare l’aspetto visivo di un itinerario collettivo che riesce comunque a far tesoro della grandezza di un cinema che ormai non c’è più. Un film, quindi, che è anche una testimonianza di affetto per il western classico, il cui ricordo lampeggia ancora nell’essenzialità delle non poche sequenze d’azione che vivacizzano l’assunto sin troppo didascalico di quel viaggio allegorico dal deserto roccioso delle guerre indiane ai verdi pascoli usurpati dall’uomo bianco all’esistenza quotidiana e ai sogni dei popoli nativi.

 

HOSTILES – OSTILI

(Hostiles, USA – 2017) regia: Scott Cooper – sceneggiatura: Scott Cooper e Donald Stewart – fotografia: Masanobu Takayanagi – musica: Max Richter – scenografia: Donald Graham Burt – montaggio: Tom Cross – interpreti e personaggi: Christian Bale (Cap. Joseph J. Blocker), Rosamund Pike (Rosalie Quaid), Wes Studi (Falco Giallo), Ben Foster (Serg. Charles Wills), Jesse Plemons (Ten. Rudy Kidder), Stephen Lang (Col. Abraham Biggs), Q’orianka Kilcher  (Moon Deer), Adam Beach (Falco Nero) – distribuzione: Notorious Pictures – durata: due ore e 7 minuti

 

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