di Renato Venturelli.
L’ultimo blockbuster su Wonder Woman ha deluso? Ecco arrivare in soccorso al Torino Film Festival il film che potrà attirare l’interesse di tutti i fan di Diana Prince, raccontando la genesi del primo supereroe femminile secondo le formule del biopic alla moda.
Scritto e diretto con piglio militante da Angela Robinson, il film rievoca la vicenda di William Moulton Marston, di sua moglie Elizabeth Holloway e del terzo personaggio della vicenda, la loro studentessa Olive Byrne. Il primo era un famoso professore universitario di psicologia, propugnatore di teorie originali e inventore della “macchina della verità”. La moglie era anch’essa psicologa, e collaborò all’invenzione dell’apparecchiatura capace di rivelare i segreti del subconscio attraverso la pressione sanguigna. Ma il terzo incomodo che arriva a movimentare la vita coniugale dei due studiosi sarà una giovanissima allieva, Olive, figlia e nipote di due celebri femministe americane, allevata in un collegio di suore: appena iscritta ai corsi del professor Marston, la ragazza si proporrà come sua assistente, diventerà l’amante sia del professore che di sua moglie, turberà il loro erotismo introducendoli alle perversioni dei riti “baby parties” delle sorority universitarie. Ben presto, verrà accolta con grande scandalo nella loro casa e darà vita a un originale ménage à trois, con la nascita di figli di entrambe le donne, ma dove a lei toccheranno curiosamente compiti per lo più casalinghi, tra la cucina e l’allevamento dei bambini.
L’elemento più eccentrico di tutta questa vicenda riguarda il fatto che Marston, cacciato dall’università, si dedicherà al fumetto, inventando il personaggio di “Wonder Woman” ispirato secondo il film proprio al temperamento delle sue due conviventi. E la Wonder Woman originale del professor Marston era fondata non solo su allusioni femministe e omosessuali, ma anche su scene di feticismo, spanking e bondage incredibilmente audaci per pubblicazioni dell’epoca.
Non tutto convince nella ricostruzione del film, ma di certo sappiamo poi com’è andata: Marston è morto a 54 anni nel 1947, il fumetto Wonder Woman è stato radicalmente normalizzato, le sue due compagne sono vissute ancora molto a lungo senza però dar segni di particolare estro creativo. Olive morirà a 86 anni nel 1990, Elizabeth addirittura centenaria nel 1993, e questo film arriva adesso a rivalutarle nel ruolo di “ispiratrici” del personaggio.
Al di là del soggetto, il film di Angela Robinson ha poi pochi elementi d’interesse, anche perché l’assunto pesantemente dimostrativo (c’è naturalmente tutto il contesto della liberazione sessuale nell’America tra anni ’30 e ’50) viene trattato con una leggerezza convenzionale, che non ha il coraggio di affondare realmente nella materia. Va comunque osservato come nemmeno i recenti cinecomics abbiano osato recuperare la versione originaria di Wonder Woman: il cinema americano ha ancora paura degli aspetti più fetish del personaggio, e sembra poterli accettare solo se riscattati dall’ostentazione di un’ideologia politicamente corretta.