di Juri Saitta.
Sempre più raramente si vede sul grande schermo una commedia sociopolitica che sia dotata al tempo stesso di un brioso ritmo narrativo, di un cast perfettamente integrato e di una sceneggiatura solida nella struttura e pungente nelle battute.
Uno dei pochi casi recenti è costituito sicuramente da “Morto Stalin, se ne fa un altro” di Armando Iannucci, opera in uscita a gennaio e già vincitrice del premio Fipresci al 35° Torino Film Festival, dove è stata presentata in concorso.
Tratto dall’omonimo graphic novel di Fabien Nury e Thierry Robin, “The Death of Stalin” (questo il titolo originale) è ambientato nel 1953 a Mosca e si svolge nei giorni della morte del dittatore sovietico, concentrandosi in particolare sulla preparazione del suo funerale e sulla lotta per la spartizione del potere tra i dirigenti del Partito Comunista.
Già noto come autore satirico della televisione britannica e regista della commedia politica “In the Loop”, Armando Iannucci trasmette anche al suo secondo lavoro cinematografico una forte impronta ironica e farsesca, in tal caso mirata a raccontare il periodo staliniano e post.
Qui il cineasta allestisce un satirico “teatro degli orrori” nel quale, da un lato, si fa costantemente riferimento alla repressione effettuata dal regime negli anni delle purghe staliniane, mentre dall’altro si mostra il comportamento della nomenclatura del Partito alla morte del leader georgiano, un atteggiamento fatto di complotti, accuse reciproche, ipocrisie e sconfessione parziale delle politiche effettuate fino ad allora.
Una battaglia per il potere cruda e non priva di spargimenti di sangue, che il film racconta però con sarcasmo e umorismo, sottolineando in modo anche volutamente eccessivo e caricaturale i lati più “comici” dei protagonisti (l’ininfluenza e il narcisismo di Malenkov, la sostanziale codardia del sanguinario Berija, la stupidità del figlio di Stalin) e la costante incoerenza tra le loro azioni e i loro discorsi.
Il tutto in un lavoro corale che si avvale di un’ottima squadra di attori (tra cui spicca Steve Buscemi nel ruolo di Chruščёv) e di una solida sceneggiatura, elementi che – aiutati da una regia e un montaggio “illustrativi” ma efficaci – contribuiscono a scandire e a sostenere per tutta la durata un ritmo narrativo quasi frenetico.
Una cadenza veloce alquanto appropriata all’opera, non solo perché riesce a seguire adeguatamente i movimenti dei tanti personaggi e a rendere più “effervescente” il risultato complessivo, ma anche e soprattutto in quanto trasmette al pubblico il clima di panico e confusione vissuto dal popolo e dalla classe dirigente sovietici del ‘53, in quella che è una “commedia dell’isteria”, come l’ha definita lo stesso Iannucci.
Una serie di caratteristiche che fanno di “Morto Stalin, se ne fa un altro” un film molto efficace, che riesce a raccontare con scorrevolezza, intelligenza e pungente ironia un pezzo di Storia complesso, contradditorio e per certi versi tragico. Un risultato niente affatto scontato, vista la delicatezza della materia trattata.
Morto Stalin, se ne fa un altro (The Death of Stalin, Francia/Regno Unito 2017) Regia: Armando Iannucci – Sceneggiatura: Armando Iannucci, David Schneider, Ian Martin – Fotografia: Zac Nicholson – Montaggio: Peter Lambert – Musica: Steve Nieve – Interpreti: Steve Buscemi, Simon Russell, Jason Isaacs, Olga Kurylenko, Jeffrey Tambor – Durata: un’ora e 47 minuti.