di Aldo Viganò.
Scritto da Emily Gordon insieme con il marito Kumail Nanjini che del film è anche il protagonista, “The Big Sick” è una commedia che mescola le vissute esperienze autobiografiche di una coppia mista con i modelli narrativi cari al produttore Judd Apatow (quello di “Prima o poi mi sposo” per intenderci) sullo sfondo delle relazioni sentimentali tra americani di etnie diverse.
Lui è un cittadino americano di origine pakistana, un giovanotto dal sorriso gentile che di giorno fa l’autista per la “Uber” e di notte recita scenette comiche sul palcoscenico di un piccolo locale di Chicago. Lei (ben interpretata da Zoe Kazan, nipote del regista di “La valle dell’Eden”) è una studentessa universitaria che viene dalla provincia. I due si incontrano e si piacciono. Fanno l’amore (“Non faccio mai sesso due volte la prima notte”, puntualizza però lei) e poi si lasciano senza impegno. Comunque l’attrazione è reciproca. Per questo tornano a vedersi.
Come andrà a finire è ovvio fin da subito. Siamo in una commedia, perbacco! Pertanto ciò che veramente conta non è dove la storia va a finire, ma solo il tragitto verso un happy end che come al solito le difficoltà della vita quotidiana tendono a complicare. Da sempre e ancora oggi (si dice) in particolare negli Usa, e in particolare quando sono in ballo le relazioni inter-etniche.
In “The Big Sick”, accade che all’inizio è soprattutto lui a dover fare i conti con i propri genitori che non solo mal sopportano il suo interesse per il teatro (lo avrebbero voluto medico, ingegnere… o almeno avvocato), ma che intendono anche proseguire negli Usa l’atavica tradizione dei matrimoni combinati. “Se volevate che continuassi a vivere come in Pakistan, perché mi avete portato in America?” protesta invano lui, che ha però molte difficoltà a ribellarsi all’invadenza materna.
Non ci vuole comunque molto perché le difficoltà arrivino anche da parte di lei. Complice l’irruzione di una grave malattia infettiva che immobilizza a letto la ragazza in stato di coma clinico, infatti Kumail si trova costretto a far venire a Chicago i genitori della sua Emily e allora lo spettatore scopre che la diffidenza nei confronti delle diversità razziali appartiene anche all’altra parte, permettendo così al film di ammiccare a una situazione aggiornata di “Indovina chi viene a cena?”.
Poste queste premesse, il film procede senza fretta, ma con determinazione, verso lo scontato lieto fine. Perché, come si diceva, sempre di una commedia si tratta. E “The Big Sick” non fa certo nulla per metterlo in dubbio; ricorrendo, quando è necessario per mandare avanti l’azione, anche a tutti i più ovvii trucchi del “genere”: dai conflitti etnici alla malattia, dai bisticci pubblici ai segreti privati (lei non dice subito di essere già stata sposata e lui nasconde alla compagna gli intrighi famigliari di cui è vittima). Furbizie scontate di sceneggiatori che vogliono rendere più accidentato un percorso già tracciato, si dirà. Anche se, almeno questa volta, a merito della coppia che si è assunta l’onere di tessere il racconto e di dialogare il film va ascritto quello di aver tenuto “The Big Sick” lontano dalle tentazioni sociologiche di tante opere simili (l’abbraccio materno dell’America diventata patria di tutti), preferendo puntare direttamente sulle sfumature di personaggi ben definiti e su dialoghi spumeggianti, sapientemente affidati ad attori di ottima qualità, tra i quali si ritrova (nel ruolo della madre di lei) anche la Holly Hunter di “Arizona junior” e di “Lezioni di piano”.
“The Big Sick” è, infatti, soprattutto un film scritto con molta attenzione per attori consapevoli, un film ricco di sfumature linguistiche e di battute fulminanti, tra le quali mi piace citarne in particolare una tra le tante altre atte a sintetizzare il tono della commedia firmata dall’anonimo Michael Showalter.
Nel corso della lunga sequenza (a mio avviso la migliore del film) in cui i genitori di lei sono costretti a convivere con il giovane pakistano nella speranzosa attesa che la ragazza si svegli dal coma, l’impacciato padre (Ray Romano) della malata chiede, quasi per caso, al giovanotto che cosa ne pensi dell’11 settembre e lui, quasi automaticamente, risponde “Quel giorno morirono 19 eroi”. Pausa. Gelo collettivo. “Scherzavo ovviamente” aggiunge lui. Ecco, è in questo “scherzo”, in questa battuta e soprattutto nella pausa ad essa seguente, che si può cogliere la significante sfumatura di un film quale “The Big Sick”. Nulla di serio ovviamente. Il film resta, e testimonia sovente questa sua natura, un’opera di fondo ovvia e furbastra, che punta senza vergogna alcuna sui luoghi comuni di un “genere” sin troppo abusato. Ma al suo interno ha anche momenti che tendono a volte a spiazzare lo spettatore. Questa fulminea battuta “etnica” che trasforma i terroristi in eroi nasce da un pensiero o da un sentito dire? Impossibile dirlo. “Scherzavo”. Ma la forza di una commedia sta anche nella capacità delle sue parole di complicare le cose. E in questo caso si tratta delle parole di una sceneggiatura scoppiettante soprattutto nei dialoghi, ma anche di parole che nascono “istintivamente” da un quotidiano vissuto in modo differente. Come può appunto essere evocato quel 11 settembre dagli americani, da una parte, e dai mussulmani, dall’altra. Senza impegno, ovviamente, perché “scherzavo”. Ma è proprio nello “scherzo”, cioè nella commedia, che sovente si cela la complessità della vita, pubblica o privata che sia. Proprio come, pur nel suo piccolo, insegna anche “The Big Sick”.
THE BIG SICK
(The Big Sick, USA 2017) regia: Michael Showalter – sceneggiatura: Emily V. Gordon e Kumail Nanjini – fotografia: Brian Burgoyne – musica : Michael Andrews – montaggio: Robert Nassau. interpreti: Kumail Nanjiani (Kumail Nanjiani), Zoe Kazan (Emily Gardner), Holly Hunter (Beth Gardner), Ray Romano (Terry Gardner), Adeel Akhtar (Naveed), Zenobia Shroff (Sharmeen), Bo Burnham (Cj). distribuzione: Cinema – durata: un’ora e 57 minuti