“Madre!” di Darren Aronofsky

di Aldo Viganò.

Darren Aronofsky è con evidenza un regista di talento, ma tutti i suoi film, anche quelli di maggiore successo come “The Wrestler” o “Il cigno nero”, sono appesantiti da un’ambizione metaforica estrema che tende a soffocare il suo cinema nella presunzione di chissà quali significati universali.

Nel caso di “Madre!”, si tratta di metafore di un’ambizione addirittura senza limiti, perché va dalla volontà simbolica di parlare di cose private quale il rapporto di coppia o la sterilità creativa  a immagini riflesse sempre più ampie che giungono infine a chiamare in causa le rivoluzioni e le guerre, la fede religiosa e la ricerca della verità, il valore salvifico e rigenerativo dell’arte, del sangue e del fuoco. Insomma, sequenza dopo sequenza, “Madre!” (anche il titolo ovviamente tende a proporsi come una metafora) ambisce di diventare qualcosa di sempre più grande sino a giungere a coincidere con il ridicolo, quale è stato quello che, non casualmente, lo fece naufragare alla proiezione per la stampa all’ultima Mostra di Venezia.

Peccato perché, eppure, il film nella sua prima mezz’ora è pieno di promesse e rivela quella capacità di fare del cinema che Aronofsky certo possiede e che pur soffoca nella sua sfrenata ambizione, non solo artistica. “Madre!” si apre in modo fiammeggiante sul primo piano dello sguardo del volto ustionato di Jennifer Lawrence. Poi, procede per un po’ in tono soft,  con una storia privata pur carica di una tensione latente.

In una casa isolata dal mondo vivono uno scrittore (Javier Bardem), in crisi creativa da quando (si presuppone)  quella abitazione avita è andata a fuoco, e la sua giovane moglie (Jennifer Lawrence), che quella grande dimora isolata nella natura sta ora lentamente restaurando con le proprie mani:  stanza dopo stanza, piano per piano. La coppia, si capisce, ha dei problemi che vanno al di là della differenza d’età e del blocco creativo. Ma questa è cosa che succede. Poi, qualcuno suona alla porta. Il primo venuto (Ed Harris) dice di essere un viaggiatore in difficoltà, ma non tarda a confessare di essere un ammiratore del padrone di casa che della cosa non può che compiacersi. Poi arriva anche la moglie dello sconosciuto (Michelle Pfeiffer), seguita poco dopo dai due figli che però subito litigano e uno uccide l’altro apparentemente per futili motivi. come Caino e Abele. Da questo primo sangue versato (tanto altro ne seguirà), prende ora il via l’abbandono progressivo della oggettività delle cose rappresentate e l’addentrarsi di “Madre!” nel regno delle metafore, destinate, ovviamente, ma solo più di un’ora e mezza dopo, a concludersi con il ritorno dell’incendio della casa, quasi che il film volesse ricominciare ora. Questa almeno sembra essere l’intenzione di Aronofsky. Peccato solo che dopo di averlo visto una volta, non viene proprio la voglia di rivederlo.  Esausti ormai da questo trionfo di metafore, che sembrano ormai abbandonate in libertà. E allora la tentazione è solo quella di lasciare, pur con il rimpianto per quel talento che ancora si nasconde dietro immagini sempre più confuse, che il regista Aronofsky prosegua da solo nel suo viaggio verso la ricerca dell’assoluto. Noi ne abbiamo visto e udito solo l’arrogante presunzione di un senso fatto di accostamenti soggettivi. E di questi, veramente, ne abbiamo ormai a sufficienza!

 

MADRE!

(Mother!, USA 2017) Regia e sceneggiatura: Darren Aronofsky – fotografia: Matthew Libatique – scenografia: Philip Messina – musica: Johann Johannsson – costumi: Danny Glicker – montaggio: Andrew Weisblum – Interpreti: Jennifer Lawrence (madre), Javier Bardem (lui), Ed Harris (uomo), Michelle Pheiffer (donna), Domhnall Gleeson (figlio maggiore), Brian Gleeson (figlio minore). Distribuzione:20th Century Fox – durata: due ore e 1 minuto

 

 

Postato in Recensioni di Aldo Viganò.

I commenti sono chiusi.