di Renato Venturelli.
Un tempo era una figura marginale del gangster film, poi è arrivato Walter Hill a consacrarne la mitologia quasi ascetica: è il driver, l’autista delle rapine, il professionista del crimine più chiuso nel proprio mondo a parte, il tecnico taciturno che partecipa solo lateralmente alle imprese criminali, non usa abitualmente né armi né violenza, ma le sublima in un rapporto di puro cinema fra traiettorie spaziali, velocità, inseguimenti.
“Baby Driver” è l’ultima reinvenzione di questa figura, un adolescente più che mai estraneo al mondo in cui è costretto a vivere, perennemente immerso nella musica che ascolta nelle sue cuffie, in attesa del momento buono per sottrarsi a quell’universo per godersi finalmente una vita normale. Ma intanto ogni volta che scappa a bordo di un’auto è un autentico spettacolo.
Il film si presenta con un inseguimento assolutamente strepitoso, Wright lavora sui volteggi di macchina da presa e personaggio disegnando sempre nuove forme coreografiche: e intanto lavora alla sua maniera sulla colonna sonora, inventando continui raccordi tra canzoni e azione in una sorta di musical action, anche se è triste vedere un film di puro cinema come questo finire esaltato come una semplice playlist.
Il meccanismo narrativo col boss Kevin Spacey, il cattivissimo Jamie Foxx, la pur notevole coppia romantico malavitosa Hamm-Gonzales, sarà a volte anche un po’ farraginoso, ma appena può liberarsi in pura regia Wright sa inventare a partire dalle situazioni più canoniche: a cominciare dalle scene nel diner in cui Baby incontra la camerierina da sogno di cui è innamorato, o dalla classica attesa in auto fuori dall’edificio durante un colpo. Proprio in quest’ultima scena diventa tra l’altro particolarmente esplicito il richiamo visivo a certe atmosfere di “Darkman”, da cui proviene del resto il direttore della fotografia Bill Pope.
“Baby Driver” gioca con la confezione blockbuster, esibisce i rapporti tra musica e immagine, ma trabocca sempre di una memoria e una cultura schiettamente cinematografica, dove i continui rimandi non diventano mai sterile citazionismo: ed è lì che il suo mix di generi e stili, l’ostentazione di poetiche postmoderne per un pubblico pop trova il suo autentico cuore espressivo. Niente a che spartire con la noia dei vari “Kingsman” in circolazione. Qui c’è gioia ed euforia di cinema: e con tanto di cameo-omaggio vocale da parte di Walter Hill in persona.
BABY KILLER- L’ARTE DELLA FUGA
(Usa-Gb, 2017) Regia e Sceneggiatura: Edgar Wright; Fotografia: Bill Pope; Montaggio: Jonathan Amos, Paul Machliss; Musiche: Steven Price; Interpreti: Ansel Elgort (Baby), Kevin Spacey (Doc), Lily James (Deborah), Jon Bernthal (Griff), Eiza Gonzales (Darling), Jon Hamm (Buddy), Jamie Foxx (Bats); durata: 113 minuti.