di Aldo Viganò.
Quasi tre ore in compagnia di una famiglia della media borghesia romena, riunita per la commemorazione, quaranta giorni dopo la sua morte, del padrone di casa. Nello spazio claustrofobico del piccolo appartamento cittadino si ritrovano in tanti: la vedova con la propria sorella malmaritata, il figlio maggiore con la moglie, l’altro figlio che come il padre lavora per l’esercito, la figlia con il marito medico e una bambina piccola, una zia che non fa mistero delle sue nostalgie per il passato comunista, i due nipoti che mal sopportano l’inaspettato arrivo del padre manesco e adultero.
Con loro, in attesa del Pope, incaricato di officiare la cerimonia, ma che tarda a giungere, ci sono anche due anziani vicini, amici di famiglia. Il tempo passa e i cibi si raffreddano. Ma la vita continua. Intorno alla tavola si chiacchiera, ci si confida e si discute; e i personaggi si definiscono. I fatti di famiglia s’intrecciano con le considerazioni politiche: alcune che fanno riferimento al passato (le responsabilità della tragedia delle Twin Towers a New York e le conseguenze della fine del regime di Ceausescu) e altre che attengono a fatti più recenti, come l’attentato parigino a Charlie Hebdo (l’azione del film si svolge all’inizio del 2015) o la situazione economica del Paese dopo il suo ingresso nell’area dell’euro.
Poche cose veramente accadono in questo film scritto e realizzato dal cinquantenne Cristi Puiu. La giovane nipote che mette in agitazione la famiglia arrivando a casa con un’amica completamente fatta di alcool e droga. La moglie del figlio maggiore che, approfittando della pausa, va al supermercato e resta coinvolta in una disputa per il parcheggio. La cerimonia religiosa finalmente celebrata dal Pope con i suoi assistenti. Il comico disguido provocato dall’abito troppo largo che il nipote dovrebbe indossare in memoria del morto o lo scompiglio che suscita l’arrivo del cognato della padrona di casa. Poche cose, piccole o grandi che siano. Vissute da ciascuno a suo modo e votate a essere chiosate da una risata finale.
Ma più che dai fatti quasi inesistenti, il film di Puiu trae la sua forza dalla scelta stilistica, che viene ostentata con sin troppo metaforica evidenza dalla regia.
Girato con il predominio del piano-sequenza nei pochissimi, statici, esterni caratterizzati dal teleobiettivo che tutto appiattisce, ma anche negli interni dove la cinepresa è in continuo movimento, “Sieranevada” racconta una storia che dialetticamente evoca l’opposto degli spazi aperti che il titolo scelto da Puiu sembra voler suggerire.
Quella che senza interruzioni trascorre sullo schermo è, infatti, una vicenda inesorabilmente condannata alla claustrofobia. Nel traffico automobilistico cittadino come nei movimenti all’interno dell’appartamento non sembra mai esserci spazio sufficiente per muoversi, e anche i pur fitti dialoghi tra i vari personaggi non sembrano mai portare a qualche soluzione. Ciascun personaggio resta, cioè, prigioniero dei propri preconcetti, che difficilmente vengono incrinati o messi in dubbio dalle idee o dai sentimenti espressi dagli altri. “Questa è la Romania” sembra così dire, fotogramma dopo fotogramma, l’autore del film, aggiungendo però contestualmente il dubbio che lo stesso discorso valga per tutta la realtà – individuale, sociale e politica – del mondo occidentale contemporaneo.
In questo senso, proprio nella sua programmatica complessità stilistica, “Sieranevada” appare infine come un film capace di essere contemporaneamente esistenziale e ideologico. Un film in cui nessuno è mai completamente sincero e l’apparenza s’intreccia inesorabilmente con la verità. Un film che sa vivere autenticamente soprattutto in virtù di una sapiente direzione d’attori, i quali ben si mettono al servizio dell’autoritaria impostazione stilistica della regia. Un’opera cinematografica che sa infine reinventare, a suo modo, una situazione narrativa già vista numerose volte, sia sul palcoscenico, sia sul grande schermo: basti ricordare anche solo “Sabato, domenica e lunedì” o “The Dead”, “Parenti serpenti” o “Festen”.
SIERANEVADA
(Sieranevada, Romania, Francia, Bosnia-Erzegovina, Croazia e Macedonia, 2016) Regia e sceneggiatura: Cristi Puiu – Fotografia: Barbu Balasoiu – Scenografia: Cristina Barbu – Costumi: Maria Pitea – Interpreti: Mimi Branescu (Lary), Judith State (Sandra), Sorin Medeleni (Toni), Ana Ciontea (zia Ofelia), Tatiana Iekel (Evelina), Valer Dellakeza (il pope), Catalina Moga (Laura), Marin Grigore (Sebi), Rolando Matsangos (Gabi), Bogdan Dumitrache (Relu), Simona Ghita (Simona), Ilona Brezoianu (Cami), Marian Râlea (signor Popescu), Ioana Craciunescu (signora Popescu). – Distribuzione: Parthénos – Durata: due ore e 53 minuti