di Renato Venturelli.
Nel giorno della lezione di cinema di Clint Eastwood, passa in concorso uno dei film più imbarazzanti di Cannes 2017, diretto dal solito Michel Hazanavicius, che dopo aver incantato molti con l’operazione “The Artist” (peraltro accettabilissima, se considerata entro i suoi limiti e non caricata di pretese teoriche) aveva già gettato la maschera col fallimentare “The Search”.
Hazanavicius parte dall’autobiografia di Anne Wiazemsky e rievoca il suo rapporto con Godard subito dopo “La cinese”, collocando il regista nella sua fase sessantottina e maoista in cui aveva deciso di “uccidere” ciò che era stato Godard fino a quel momento in nome di una radicale scelta politica. L’intrecciarsi di pubblico e privato, manifestazioni di piazza e scenette casalinghe, assemblee studentesche e litigi di coppia (oltre che di precise citazioni dei film godardiani), viene però raccontato da Hazanavicius con i modi ostentati della commedia fintamente popolare, puntando a volte su elementi slapstick e approfittando del taglio apparentemente leggero per regolare i propri conti con Godard, col ’68, con la sinistra, con chi difende la causa palestinese. Molti si sono indignati per lesa maestà, ma lo squallore dell’operazione sta nel senso di meschinità dello sguardo complessivo, in mezzo a gag qua e là anche divertenti, in molti casi invece inesorabilmente penose.
Giornata comunque nell’insieme deludente anche negli altri film: dal dignitoso ma scontato ritratto familiare traboccante d’attori di Noah Baumbach (“The Meyerowitz Stories”, con Dustin Hoffman, Ben Stiller, Adam Sandler: altro film targato Netflix) al coreano Jung Byung Gil di “Ak-Nyeo”, dal “Fortunata” di Castellitto con una debordante Jasmine Trinca al Bruno Dumont di “Jeannette – L’enfance de Jeanne d’Arc”, che se aveva sconcertato qualcuno con gli ottimi “Le p’tit Quinquin” e “Ma Loute”, stavolta annichilisce gli spettatori ed entusiasma parte della critica con la provocazione del suo “musical” primitivista sull’infanzia e l’adolescenza della Pulzella, dove le protagoniste cantano i versi di Péguy tra rock e nenie stonatissime, riprese nel mezzo di desolati scenari campestri.