Cannes 2017 – 1: “Neljubov” di Andrej Zviagintsev

di Renato Venturelli.

Cannes 70 comincia bene con “Neljubov” (“Senza amore”) di Andrej Zviagintsev, il regista russo di “Leviathan” che torna con un altro racconto forte e ambizioso, dove si mescolano dramma familiare e ritratto sociale, ma soprattutto s’impone una voglia prepotentemente visiva di melodramma attraverso immagini capaci continuamente di rapportare i singoli al paesaggio, la dimensione privata agli scenari di grande respiro ed impatto, che non sono solo sfondo ambientale ma funzionano come rimando espressivo e metaforico.

Al centro della vicenda, marito e moglie che stanno separandosi, entrambi già con i loro rispettivi amanti, lei con un riccone che la venera, lui con una ragazzina giovane e incerta che ha già messo incinta: e la moglie che ripete di essersi a suo tempo sposata senza amore, solo per sottrarsi all’incubo della propria madre insopportabile, ma di essere poi stata usata dal marito. Finché, all’improvviso, il figlio dodicenne sistematicamente dimenticato e trascurato scompare nel nulla, e la polizia ammette tranquillamente la propria impotenza, consigliando i genitori di rivolgersi a gruppi di volontari specializzati nelle ricerche di bambini scomparsi.

Il quadro pubblico e privato della Russia che ne vien fuori è fin troppo didascalico, fondato sull’idea centrale di un paese che nel suo egoismo post-comunista ha creato al proprio interno un vuoto gigantesco: ma Zviagintsev fa la morale attraverso un respiro visivo a tratti potente, sa proiettare le sue vicende squadratamente esemplari su scenari più ampi, ripresi con sontuoso senso plastico, tra le nevi bianchissime di un inverno dell’anima di un’intera nazione.

Altro film in concorso della prima giornata, l’elegante “Wonderstruck” di Todd Haynes, tratto dal Brian Selznick di “Hugo Cabret”, ma assolutamente da segnalare è “Blade of the Immortal” di Takashi Miike, gran tripudio (fuori competizione) di duelli e scontri, ammazzamenti e mutilazioni, tratto dal manga di Hiroaki Samura: l’immortale del titolo è un samurai che in una delle prime scene stermina cento uomini uno dopo l’altro, ma proprio quando sta a sua volta per morire si vede iniettare nella ferita da una vecchia “i vermi del sangue”, capaci di rimarginare ogni colpo mortale che riceve, di risanarlo dopo ogni scontro e di riattaccargli perfino le braccia e altre parti del corpo. Scontri ferocissimi, mattanze interminabili, gran dinamismo visivo, violenza estrema, gusto divertito per il grottesco ma anche con sfumature tragiche: i fan dicono come al solito che Takashi Miike ha fatto di meglio, ma nel contesto di Cannes 2017 questo fa già parte del meglio.

Postato in 70 FESTIVAL DI CANNES 2017.

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