“Paterson” di Jim Jarmusch

di Aldo Viganò.

Scrittore e poeta prima che regista, tastierista per molti anni di un complesso “new wave”, poliglotta (madre irlandese e padre cecoslovacco) nato nell’Ohio e laureato in letteratura americana a New York, il sessantaquattrenne Jim Jarmusch ha scoperto il cinema d’autore a Parigi (dove nel 1975 si trasferì per una ricerca su André Breton e il surrealismo), perfezionando il suo interesse per la Settima Arte alla scuola dell’anziano e malato Nicholas Ray, che (ricorda) non cessava mai di ammonirlo: “Se vuoi occuparti di cinema, tieniti lontano da Hollywood”.

Un ammonimento, questo, al quale Jarmusch obbedì sempre nel corso della sua carriera percorsa lentamente (tredici film in 36 anni), venendo con progressione a imporsi nel panorama americano come il più intransigente dei registi “indipendenti”, il cantore della quotidiana vita degli sradicati e il fautore di un minimalismo stilistico molto lontano dalla vocazione mitico-narrativa della migliore tradizione del cinema statunitense. Ed ecco che, con puntualità, anche Paterson viene a ribadire sul grande schermo la preferenza del regista per un cinema nel quale la situazione conta più dell’azione, l’eccentricità dei personaggi ha decisamente la meglio sul loro divenire e sulla loro capacità di modificare con il proprio comportamento (fisico o psicologico, che sia) il mondo circostante.

Ambientato a Paterson (cittadina del New Jersey che conta oggi 150.000 abitanti e che si vanta di aver dato i natali allo scrittore e poeta William Carlos Williams e al comico Lou Costello – quello di Gianni e Pinotto – nonché di aver ospitato l’anarchico Gaetano Bresci prima che questo partisse per assassinare in Italia re Umberto I), il film Paterson  ha come protagonista un autista di autobus (anche lui di nome Paterson) con la passione di scrivere poesie dedicate ai sentimenti e alla descrizione di episodi di vita quotidiana. Le sue giornate trascorrono sempre eguali: sveglia tra le sei e dieci e le sei e mezza; colazione solitaria o insieme alla compagna Laura che coltiva personali vocazioni pittoriche e culinarie; dopo il lavoro passeggiata con il cane (un bulldog inglese) sino al bar vicino dove consuma una birra e chiacchiera del più e del meno con il barista di colore e con qualche avventore fisso. La cosa più strana che può accadere a Paterson è solo un guasto al motore dell’autobus ormai obsoleto. Tutto qui. Jarmusch racconta questa monotonia come una forma vissuta di serenità quotidiana, messa malinconicamente in discussione solo dallo sguardo (forse ironico) del cane o dalla ricorrente presenza di coppie gemelle, evocate forse dall’enunciato desiderio di Laura di poterne un giorno partorire una. Ma nel cinema di Jarmusch non sono mai i fatti che contano. Come nei quadri di Edward Hopper, ciò che al regista interessa è soprattutto l’oggettività dell’immagine. Questa viene sovente lasciata indugiare sullo schermo molto più a lungo del necessario e Jarmusch ne sottolinea l’oggettività estetica, lasciando che ogni tanto questa si duplichi nello scorrere in sovrimpressione dei versi che Paterson va scrivendo o leggendo. Con il risultato che il film suscita nello spettatore la sensazione vagamente surreale che il tempo si sia fermato, in un susseguirsi di situazioni sempre eguali, nonostante le didascalie indichino lo scorrere dei giorni di un’intera settimana (da lunedì a lunedì).

Certo Hollywood è lontana da Paterson, ma è proprio questo che nel film sembra aver affascinato la critica e (parzialmente) il pubblico (soprattutto italiano), che hanno riconosciuto nel succedersi di quei nitidi fotogrammi la presenza di un intelligente discorso sulla poesia, sull’arte e sulla vita stessa. Un discorso che è infine disposto anche ad aprirsi all’autoironia quando il bulldog inglese reagisce con rabbia – distruggendo il taccuino su cui Paterson conservava le proprie poesie manoscritte –  al fatto che una sera la coppia dei suoi padroni preferisce trascorrere una serata al cinema, a vedere film dell’orrore di serie B, piuttosto che, come di consueto, in sua compagnia.

 

PATERSON

(Paterson, USA 2016) Regia e sceneggiatura: Jim Jarmusch – Testi poesie: Ron Padgett – Fotografia: Frederick Elmes  – Musica: Jim Jarmusch, Carter Logan, Sqürl – Scenografia: Mark Frieberg – Costumi: Catherine George – Montaggio: Affonso Gonçalves. Interpreti: Adam Driver (Paterson) – Golshifteh Farahani (Laura) – Nellie (Marvin) – Barry Shabaka Henley  (Doc), William Jackson Harper (Everett), Chasten Harmon (Marie), Rizwan Manji (Donny). Distribuzione: Cinema – Durata: un’ora e 53 minuti

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