di Aldo Viganò.
Valorizzare l’«aspetto umano»! La programmatica centralità di questo impegno – etico prima che estetico – non solo connota sempre più il cinema che negli ultimi tempi Clint Eastwood mette in scena, ma contribuisce anche a circondare ogni suo nuovo film di un’aureola di classicità, dove ciò che veramente conta sono i personaggi e gli attori chiamati a interpretarli, il tema affrontato e il modo accattivante con cui questo viene svolto sul grande schermo.
Sully dà un’idea lampante di questo modo “umanistico” di fare del cinema. Ancora una volta (gli accade ormai sempre più spesso), Clint Eastwood parte da una “storia vera” per costruire il suo personale “biopic”: cioè, la versione cinematografica dell’impresa di “Sully”, il professionale e anonimo comandante Chesley Sullenberger (detto “Sully”) che il 15 gennaio 2009 dovette affrontare e risolvere un evento eccezionale. L’aereo di linea nazionale da lui pilotato, partito regolarmente dall’aeroporto La Guardia, venne investito nel cielo di New York da uno stormo di uccelli (nel film si parla di oche) che ne misero fuori uso entrambi i motori e Sully dovette scegliere in pochi secondi il da farsi: tornare indietro con il rischio di provocare involontariamente un disastro simile a quello messo in atto l’11 settembre 2001 dai terroristi (l’incubo di Sully, con il quale si apre il film) o tentare un atterraggio di emergenza sul fiume Hudson. Si sa che il comandante scelse questa seconda via e che così facendo salvò la vita di tutte le 155 persone a bordo, e venne applaudito come un eroe. Ma più che il fatto spettacolare in sé (riproposto un paio di volte nel corso del film), a Eastwood interessa quello che accade dopo.
Infatti, lo schivo Sully (sempre accompagnato e appoggiato dal suo secondo pilota) dovette subito fare i conti con i propri “fantasmi” interiori e, soprattutto, con i rappresentati della Compagnia aerea e dell’Assicurazione, i quali lo accusarono di avere con la sua scelta perduto il bimotore che invece – come testimoniano gli algoritmi elaborati dal computer e le simulazioni di volo – avrebbe potuto essere riportato integro ai più vicini aeroporti.
È qui, appunto, che per difendersi dall’accusa, Sully porta in tribunale l’«aspetto umano» e ne fa il vero soggetto del film. Con il risultato che il suo discorso assume un indirizzo esplicitamente umanistico. A differenza delle macchine che hanno elaborato le matematiche simulazioni, sostiene Sully nella sua efficace “arringa” di difesa, l’essere umano è sempre un individuo pensante, dotato di emozioni e sentimenti. E questo fa sì che le sue risposte non siano quasi mai definitive, ma sicuramente più vere. Di fronte a un avvenimento eccezionale come quello accaduto quel giorno, le risposte dell’essere umano non potevano essere istantanee, come quelle di un computer, ma avevano necessariamente bisogno di un soggettivo tempo di reazione, che gli esperti, interpellati, calcolano in 35 secondi: quanto cioè sarebbe bastato perché l’aereo si schiantasse tra i grattacieli di Manhattan o sulle case del New Jersey.
È appunto questo apologo umanista (in elogio del “calore” delle sue scelte rispetto all’astratta “freddezza” dei calcoli matematici) che Eastwood mette in scena con chiarezza e onestà, senza alzare mai la voce, affidandosi all’ottima interpretazione di Tom Hanks (“mimetica”, come testimoniano gli spezzoni dal “vero” che scorrono sotto i titoli di coda) e facendo ricorso solo a poche sequenze collaterali, quali le telefonate di Sully alla moglie e un paio di flashbacks giovanili. Tutto ciò fa di Sully un buon film, che si vede con piacere: essenziale nel linguaggio e ottimamente articolato sul piano narrativo dall’alternanza tra incubi e realtà, che spingono la regia verso un’utilizzazione molto interessante del tempo cinematografico; ma ne fanno anche un film fondamentalmente “piccolo”, con il respiro poco più di un cortometraggio, interamente costruito intorno a un unico assunto drammatico, che insieme certifica la grande professionalità del Clint Eastwood regista, ma insieme lascia il sospetto di una sua certa senilità d’ispirazione.
SULLY
(USA, 2016) regia: Clint Eastwood – sceneggiatura: Todd Komarnicki, dall’omonimo libro di Chesley Sullenberger e Jeffrey Zaslow – fotografia: Tom Stern – musica: Christian Jacob e Tierney Sutton Band – scenografia: James J. Murakami – costumi: Deborah Hopper – montaggio: Blu Murray. Interpreti: Tom Hanks (Chesley “Sully” Sullenberger), Aaron Eckhart (Jeff Sklies), Laura Linney (Lorraine Sullenberger), Anna Gunn (dott. Elizabeth Davis) – distribuzione: Warner Bros. – durata: un’ora e 36 minuti.