di Juri Saitta.
Presentato al 33° Torino Film Festival, Love & Peace è uno dei cinque lavori realizzati quest’anno da Sion Sono ed è stato lanciato come il suo “film di Natale” perché “lieve” e favolistico. Ma anche se in effetti è ambientata durante le feste e non contiene la violenza splatter presente in molto cinema dell’autore giapponese, l’opera in questione non è tenue come si potrebbe pensare…
di Juri Saitta.
Presentato al 33° Torino Film Festival, Love & Peace è uno dei cinque lavori realizzati quest’anno da Sion Sono ed è stato lanciato come il suo “film di Natale” perché “lieve” e favolistico. Ma anche se in effetti è ambientata durante le feste e non contiene la violenza splatter presente in molto cinema dell’autore giapponese, l’opera in questione non è tenue come si potrebbe pensare,ma è al contrario imperniata di quella “follia” tipica del regista, questa volta al servizio di una commedia fantastica e a tratti malinconica sul successo, l’abbandono e l’amicizia.
La storia è quella di Kyo, un impiegato denigrato da tutti che, grazie all’aiuto di una tartaruga, comporrà una canzone che lo farà diventare leader di una rock band di grande popolarità. Ma l’improvviso e inaspettato successo del protagonista emergerà presto anche nei suoi aspetti più distorti e distruttivi.
Proprio a partire dal soggetto e dai suoi sviluppi, Sion Sono realizza un’opera ricca d’idee e dal ritmo vorticoso che unisce la commedia degli equivoci al fantasy natalizio, il musical al grottesco, il kaiju film alla satira. Il tutto supportato da un racconto che si divide tra la Tokyo “di sopra” (strade, uffici, appartamenti) e quella sotterranea delle fognature. Due luoghi continuamente alternati e intrecciati, i quali non solo vengono descritti con toni differenti, ma che affrontano anche problematiche diverse. Se la città “di sopra” è raffigurata come grottesca e rappresenta una satira quasi feroce sul successo e sulla sua forza distruttrice, le fognature hanno elementi più favolistici e malinconici, incentrati sull’amicizia e l’abbandono.
Ma insieme a tutto ciò, vi è anche un sottotesto meno evidente, ma più interessante e meta-cinematografico: l’omaggio all’artigianato. Infatti, i vari pupazzi e animali che popolano le fognature, compresa la tartaruga (almeno quando questa diventa gigante), non sono realizzati con il digitale e con la computer grafica, ma creati in maniera palesemente manuale. Una scelta non soltanto produttiva, ma in qualche modo anche “etica” ed “estetica”, in quanto difende e rivendica un modo di fare cinema più “antico” contro un digitale ormai dilagante.
Una tematica che emerge con forza anche in un altro lavoro realizzato quest’anno dall’autore giapponese: lo sci-fi sobrio e rigoroso The Whispering Star, presentato alla 10a Festa di Roma. Infatti, anche in quest’opera vi è un omaggio, in tal caso più dolente, nostalgico e ampio, a ciò che è antico e artigianale, come dimostrano alcuni oggetti di scena e le ombre cinesi dell’ultima parte.
Un tema evidentemente molto caro a Sono, che infatti lo ha affrontato per ben due volte nello stesso anno: in modo più esplicito, profondo e doloroso in The Whispering Star; in maniera più sottesa, divertita e scanzonata in Love & Peace.
Dunque, nella sua prolificità produttiva e nella diversità delle sue opere, il regista dimostra non solo una certa coerenza estetica (almeno per la radicalità delle sue scelte, sia quelle più sobrie sia quelle più “folli”), ma anche una certa continuità di sguardo, spesso critico e pessimista, sui vari aspetti della società contemporanea, non solo quella giapponese.
(di Juri Saitta)