di Renato Venturelli.
Da Julien Temple a Terence Davies, da “Festa mobile” alla retrospettiva, c’era tantissimo cinema inglese in quest’edizione del festival torinese, com’era anche logico aspettarsi visto il nome del direttore.
Nel caso di “The Lady in the Van”, il dubbio è se prendere il film dalla parte di Alan Bennett o da quella di Maggie Smith. A 80 anni esatti, l’attrice interpreta un’anziana misteriosa, che vive da barbona in un furgone parcheggiato per anni in una stradina residenziale proprio accanto alla casa di Alan Bennett, il drammaturgo che finisce col prendersi cura della donna per quindici anni. Lei è scontrosa, testarda, bisbetica, con repentini guizzi d’astuzia e anche tanti misteri. Indubbiamente colta, conosce il francese, ha guidato ambulanze durante la seconda guerra mondiale ed è stata tante altre cose: a poco a poco verrà fuori che è entrata due volte in convento e da giovane era promettente pianista (aveva studiato in Francia con Cortot), finché le suore le avevano vietato la musica.
Il film vive per lo più sull’interpretazione di Maggie Smith, contrappuntata da quella di Alex Jenning nella parte di Bennett stesso. E qui si sviluppa il doppio aspetto del film, da una parte tradizionalmente al servizio della sua straordinaria protagonista (già interprete a teatro quindici anni fa), dall’altro attento a rendere più sofisticato il meccanismo attraverso il personaggio del drammaturgo, il suo letterale sdoppiamento tra il Bennett “che scrive” e il Bennett “che vive”, i giochi sulla scrittura e la vita, il rapporto tra la realtà e il modo in cui la si rappresenta sulla pagina e sulla scena.
Ispirato al testo teatrale di Bennett del 1999, il film è diretto da Nicholas Hytner, che già era stato il suo regista al Queen’s Theatre e che già aveva lavorato con Bennett per “La pazzia di re Giorgio” e “The History Boys”. Sullo schermo, però, finisce per stabilirsi una sorta di gerarchia: e mentre l’interpretazione di Maggie Smith si accampa al centro della scena, tutta l’elaborazione intellettuale del processo di scrittura assume un aspetto più forzato e scontato, pur servendo a stabilire le giuste distanze tra la narrazione e il personaggio.
(renato venturelli)