Gijon FICX 53 – Incontro con Arturo Ripstein


arturo-ripstein-mediumdi Furio Fossati.
Arturo Ripstein inizia la chiacchierata dicendo: “Questa sceneggiatura è l’unica che non richiesto alla mia sceneggiatrice: è venuta come un dono, San Luis Buñuel me l’ha mandata”…

Ripstein è giunto a Gijon per promozionare il suo ultimo film, La calle de la amangura, una co-produzione tra la Spagna e il Messico che ha aperto la 53sima edizione del FICX.
Stranamente sorridente e disponibile – ha la nomea di essere un orso – è felice per avere realizzato un film in cui crede e che ricorda il mondo magico di Luis Buñuel con cui il regista ha avuto l’onore di collaborare varie volte.

– Ci dica del film.

“E’ una storia con profonde ombre, in cui tutto parla di povertà e di dolore, ma dove quest’ultimo elemento mai viene visto in maniera melodrammatica: i miei personaggi hanno sempre l’orgoglio di affrontare ogni problema con dignità. Nemmeno la morte dei gemelli che praticano il wrestling riesce ad intaccare la fede e il desiderio di onorare la vita per quanto essa ci dona. E’ interamente girato in bianco e nero ambientato in una delle zone più socialmente degradate di Città del Messico, zona che io stesso poco conoscevo prima di girare il film.”

– Il mondo che racconta è border line tra onestà e delinquenza, tra amore ed odio. Tutto attraverso personaggi che ricordano molto Buñuel.

“Ho puntato il film su poche storie che da parallele si trasformano in incontri di drammi personali. Le due prostitute ormai anziane, la madre dei due lottatori nani di wrestling con un marito alcolizzato, furti e violenze ma sempre con il rispetto per il mondo che permette loro di sopravvivere, quello del ultraterreno fatto di bontà, pietà, speranza, desiderio di redenzione da una vita tristemente vissuta.”

– Lei riscrive il suo paese, il Messico, con toni grotteschi alla Buñuel con una realtà che supera i limiti del plausibile, distruggendo i confini del tema imposto dall’esterno ed apparentemente protagonista della vicenda che ben presto lascia spazio solo alle emozioni.

“Questo stesso paese del melodramma scatenato, delle passioni sfrenate, già interpretato da alcune delle mie opere come un profondo cocktail di situazioni antitetiche che provocano la distruzione degli uomini e della loro umanità, in questo film in bianco e nero si trasformano in ricchezza del mondo del immaginario, nel descrivere ogni cosa come un triste carnevale e della morte come movimento vitale per l’universo. Cerco di
raccontare di un paese nella sua essenza, oltre la morte accidentale di due combattenti nani a causa di un’azione inconscia di due anziane prostitute. Questo script è firmato come sempre da mia moglie Paz Alicia Garciadiego. Lo ha realizzata vari anni orsono e solo ora mi sono sentito in grado di realizzarlo senza tradire l’essenza dei suoi contenuti.”

– Tra le cose più belle i due lunghissimi piani sequenza.

“Il piano sequenza per me narrativamente è la maniera più semplice e diretta per raccontare, soprattutto se si può contare su attrici quali Patricia Reyes Spindola, Nora Velázquez e Sylvia Pasque; tutte che già conoscevano il mio modo di fare cinema, ognuna con esperienze tali da grandi interpreti che non si sono spaventate per queste prove senza rete. Sono felice che sia stata intesa la loro importanza: il montaggio è utile per connettere varie situazioni, scene ambientate in location differenti o in momenti staccati uno dal altro. Il piano sequenza lo ho sempre amato e, credo, rimarrà anche nelle mie prossime opere.”

– Come mai questi personaggi e non altri?

“Mia moglie aveva letto la notizia dei due nani morti misteriosamente, forse a causa di un incontro d’amore con prostitute: per sentirsi normali avevano perso la vita. Immediatamente aveva fatto una prima stesura della sceneggiatura ma per parecchio tempo mi ero rifiutato di leggerla perché pensavo non mi interessasse. Letta, ne sono stato conquistato ma la sua realizzazione filmica ha richiesto ancora parecchio tempo.
Probabilmente, era necessaria una mia maturazione per meglio potere rendere questa vicenda.”

– Si reputa un fortunato per essere riuscito a fare il lavoro che desiderava, oltretutto avendo come maestro il massimo regista spagnolo?

“Mio padre era uno dei più importanti produttori del mio paese, Buñuel era amico di famiglia e non ebbi difficoltà ad essere accettato quindicenne sul set, ma quello che ha cambiato la mia vita definitivamente è stato di avere fatto l’assistente alla regia di Luis per El Ángel exterminador (1962), anche se non risulto nei titoli. Lo considero uno dei suoi migliori film ed essere stato partecipe mi rende tuttora orgoglioso.”

– A soli 23 anni ha debuttato come regista e in molti hanno detto che è stato solo per merito di suo padre.

“Che un genitore creda nei suoi figli fa parte della natura umana, ma come produttore sapeva anche valutare se un progetto poteva ottenere successo. Tiempo de morir (1966) pur realizzato nello stile del western è un film che punta più sul drammatico. E’ stato scritto da due grandissimi autori quali Gabriel García Márquez e Carlos Fuentes, ha ottenuto successo di critica e di pubblico. Diciamo che mio padre aveva visto giusto puntando su di me.”

– Molti titoli importanti nel lungometraggio ma anche moltissime esperienze in altri settori.

“Io amo il documentario e lo utilizzo, come nel caso de La calle de la amangura, anche in miei titoli di fiction. Non può e non deve esserci un limite invalicabile tra i due modi di intendere il cinema. Ma amo molto anche i cortometraggi a volte serviti come base di film di diversa lunghezza, la televisione che ti permette di parlare a molte più persone assieme. Spaziando in varie forme espressive, spero di riuscire a trovare un pizzico di originalità.”

– Molti suoi film sono legati ad un unico tema: la solitudine delle anime. Le sue storie sono cupe, lente e depressive.

“Se ci si guarda in giro, ci si rende conto che la vita non sempre è felice, che le cose meno belle sono quelle che si ricordano maggiormente. Io mi limito a mettere queste realtà sullo schermo, grazie soprattutto alle sceneggiature scritte da mia moglie. Il mio mondo filmico cerca di raccontare la realtà che spesso non è come vorremmo.”

– Ha già in mente un altro film?

“I progetti sono tantissimi e difficilmente in tempi brevi riuscirò a completarli tutti. Di sicuro, per non scontentare mia moglie che scrive moltissimo, dovrò fare chissà quanti altri film…”

Furio Fossati

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