di Renato Venturelli.
Parte ufficialmente nel nome di Orson Welles la 33° edizione del Torino Film Festival (20-28 novembre), ma si annuncia per molti versi un film molto british.
Il Gran Premio andrà a Terence Davies, sottile e sensibilissimo autore di Liverpool che aveva avuto il suo periodo di maggior gloria tra gli anni ’80 e ’90, ai tempi di “Voci lontane… sempre presenti”. Guest Director sarà invece un londinese come Julien Temple, uno dei primi geni del videoclip, l’autore di “La grande truffa del rock’n’roll” sui Sex Pistols, poi di quell'”Absolute Beginners” che nel 1986 segnò uno dei momenti di massima affermazione della nuova estetica.
E un bel po’ di classici inglesi ci sarà anche nella retrospettiva, dedicata quest’anno alle “cose che verranno”, cioè alla maniera in cui il cinema ha raccontato scenari, utipie e distopie del mondo a venire. Ci saranno naturalmente “Fahrenheit 451” o “Lemmy Caution Missione Alphaville” (il film di Godard che mise una pietra tombale sulla carriera di Eddie Constantine), ma la rassegna è già inglese fin dall’intestazione: “Things to Come” era infatti il titolo originale di “La vita futura – Nel 2000 guerra o pace”, il (tedioso) film di fantascienza di H.G.Wells realizzato in Inghilterra dall’americano William Cameron Menzies, mitico braccio destro di Selznick in “Via col vento”. E in mezzo ci saranno tanti titoli inglesi, da Val Guest al mitico “Giorno dei trifidi”, a “It Happened Here” che parla dell’Inghilterra se avesse vinto Hitler, e periodicamente viene riproposto da decenni come riscoperta perché in effetti resta un film misteriosamente emarginato.
Per il resto, la 33° edizione del Torino Film Festival sarà fedele alla sua tradizione, sempre in cerca di nuovi autori e nuovi linguaggi, di opere prime e seconde, ma tenendo sempre ben aperti gli occhi sul passato e soprattutto spaziando su tutto il cinema a 360°.
I numeri parlano chiaro: quest’anno ci saranno oltre 150 film, dei quali un terzo costituito da opere prime e seconde, con 50 anteprime mondiali. In mezzo a tante novità, anche molti recuperi su quanto di meglio s’è visto in giro nei festival quest’anno, ma non ancora nelle sale italiane: tanto per fare qualche esempio, “Le mille e una notte” di Miguel Gomes, “The Assassin” di Hou Hsiao-Hsien o “Cemetery of Splendour” di Apitchapong Weereasethakul, ma ci sono anche gli ultimi film di Sion Sono, Ben Whitley, “La resistance de l’air” del francese Fred Grivois (collaboratore di Audiard), il curioso “Ni le ciel ni la terre” di Clément Cogitore. Tra i recuperi c’è anche “Alba tragica a Dongo”, film di 37′ del 1950 sulle ultime ore di Mussolini, mai uscito a suo tempo per problemi con la censura. E se la sezione “After Hours” continuerà ad aggiornarci su quel cinema di genere sempre più bloccato dalle leggi del mercato italiane, lo spazio dedicato ai documentari sta diventando sempre più importante per il pubblico ventenne e trentenne, mentre la sezione “Onde” di Massimo Causo prosegue la sua ricerca di titoli linguisticamente all’avanguardia, proponendo quest’anno anche un inedito di Glauber Rocha.
Festival sempre giovane, mai giovanilista, quello di Torino è del resto cresciuto enormemente rispetto ai suoi più spartani progetti iniziali, ma ha sempre avuto una linea di continuità: quella di mantenere un’anima profondamente cinefila, basata su un’attenzione e un amore per il cinema senza pregiudizi né confini.
(di Renato Venturelli)