di Yuri Saitta.
Il tempo è fondamentale nel cinema di Frederick Wiseman. Infatti, la (spesso lunga) durata dei suoi lavori serve in primis a tracciare una panoramica critica, approfondita e particolareggiata del contesto osservato, che sia una scuola, un ospedale psichiatrico o un centro per l’impiego. E quando finalmente abbiamo familiarizzato con il luogo rappresentato, il regista inserisce una o più sequenze che chiariscono la direzione del suo sguardo, quali sono gli aspetti più importanti da cogliere e cosa questi possono rappresentare a un livello più globale e generale. Ciò perché gli ambienti ripresi dal cineasta risultano anche lo specchio della società occidentale, in particolare quella americana.
Tutti elementi che si possono riscontare anche nel suo ultimo documentario: In Jackson Heights, presentato fuori concorso alla 72a Mostra del Cinema di Venezia.
Incentrato sull’omonimo quartiere popolare e multietnico di New York, il film ne riprende in circa tre ore e dieci le persone, i luoghi, gli eventi, i colori, ecc., facendone emergere tutta la vitalità e la vivacità. Un luogo nel quale vi sono sì diversi problemi sociali (in primis il rapporto con la polizia) ma dove i suoi abitanti si uniscono, si divertono, discutono, cercano di risolvere i problemi della collettività. Tutto in modo aperto e senza pregiudizi, come dimostrano la sinagoga che ospita le riunioni della comunità LGBT e il centro di ascolto per i migranti.
Ma anche se l’autore sembra affascinato dall’ambiente, ne intravede al tempo stesso un possibile mutamento che rischierebbe di annullarne tutte le caratteristiche più positive. In una delle sequenze più intense del film viene, infatti, spiegato che le grandi aziende, attraverso sfratti e aumenti di affitto, stanno cercando di occupare gli stabili per attirare nel quartiere i cittadini più benestanti con negozi alla moda e appartamenti altolocati. Un modo per trasformare Jackson Heights da quartiere aperto e popolare a quartiere-vetrina, una sorta di centro commerciale all’aperto che potrebbe ricordare non poco il magazzino di lusso descritto dallo stesso Wiseman in The Store.
In questo modo, l’autore non solo osserva e, in parte, omaggia un luogo particolare, ma soprattutto avverte lo spettatore dei rischi del capitalismo portato allo stremo e lo invita a capirne i meccanismi, i trucchi, gli inganni, il grande potere.
Ed è proprio per questo che In Jackson Heights risulta anche, e forse soprattutto, un film sullo scontro tra cittadini e finanza, tra piccoli gruppi e un sistema economico sempre più arrogante e invadente.
Wiseman aggiunge così un altro tassello al suo grande mosaico americano; un tassello molto attuale e contemporaneo, che non fotografa soltanto l’esistente, ma che intravede anche il possibile ed eminente futuro.
(di Juri Saitta)