di Antonella Pina.
“Seriamente divertenti. I film di Leo McCarey” è il titolo della retrospettiva che la XXIX edizione del Cinema Ritrovato ha dedicato al regista americano. McCarey, classe 1898, aveva un grande talento per la comicità nonostante fosse avvocato, rigorosamente cattolico e ferocemente maccartista. Aveva intrapreso l’avvocatura per esaudire il desiderio di suo padre, ma già negli venti la abbandonò per scrivere e poi dirigere le gag comiche di Charley Chase, da cui apprese tutti i segreti della comicità e della macchina da presa.
McCarey divenne presto un maestro della slapstick comedy: fu lui a creare la coppia Stan Laurel e Oliver Hardy. Sapeva dare alle battute il ritmo giusto, sapeva fino a quando l’attimo dovesse restare sospeso: l’attimo magico in cui nulla accade, che precede la furia di Ollio o il pianto di Stanlio e lo scatenarsi delle risate in sala.
Con l’avvento del sonoro divenne grande anche nella screwball comedy. Nonostante gli elementi drammatici e la grande tensione morale presenti in molti suoi film, una sottile linea di comicità attraversa le sue storie, fatta eccezione per le imbarazzanti pellicole maccartiste.
Tra le molte cose viste a Bologna ricordiamo:
“Part Time Wife” del ’30, il primo vero film “alla Leo McCarey”, come amava dire lo stesso regista. Appartenente al genere screwball e al sottogenere della “commedia del rimatrimonio”: il vincolo del matrimonio è indissolubile ma nulla vieta, anzi qualcosa impone, che nervosismo, stanchezza, infondate certezze sulla infedeltà del coniuge, possano interrompere il legame per brevi o lunghi periodi. Legame che poi, dopo rocamboleschi tentativi di riconquista, torna ad essere più saldo di prima. Il film è incompleto – manca un rullo andato perduto prima del restauro – ma la pellicola risulta comunque divertente e comprensibile. Al botteghino fu un trionfo e consentì al regista di raddoppiare il proprio ingaggio.
La parte drammatica di “Part Time Wife” riguarda i cani. Uno dei protagonisti della storia è Tommy, un bambino rimasto orfano che vive in una baracca con un cagnolino. Un giorno, in seguito ad uno spavento, il cane scappa e finisce in una sorta di canile municipale. Qui, insieme a molti altri, mostrati al pubblico uno ad uno, viene trascinato in una camera a gas. Tommy arriva allo scadere del tempo e riesce a salvare il suo cane. Tutti gli altri restano lì a morire e a nessuno pare che questo importi. E’ un momento piuttosto sconcertante: non risulta sufficientemente chiaro se si tratta di indifferenza o di una forte e cruda denuncia contro i canili municipali.
“Ruggles of Red Gap” (Il maggiordomo) del ’35 con un grande Charles Laughton che, noto per i suoi ruoli drammatici, veste qui i panni decisamente comici di Marmaduke Ruggles: ultimo discendente di una dinastia di maggiordomi che da molte generazioni serve fedelmente una nobile famiglia inglese.
Siamo nel 1908 e Marmaduke viene vinto al gioco dal rozzo ma simpatico Egbert Floud, marito di Effie: una coppia di ricchi americani di Red Gap, Washington, in vacanza a Parigi. Effie individua nell’inappuntabile maggiordomo il simbolo necessario per poter ottenere quello status sociale impossibile da conquistare con il solo denaro. E’ così che Marmaduke, troppo servizievole per potersi opporre alla decisione del suo padrone, si ritrova in una terra che lungi dall’essere selvaggia come lui aveva immaginato, è abitata da gente rozza ma ospitale con un innato senso dell’uguaglianza. Lì Marmaduke, leggendo per la prima volta il discorso di Lincoln a Gettysburg, comprende il vero significato delle parole Libertà e Uguaglianza.
“Make Way for Tomorrow” (Cupo tramonto) del ’37. “Il capolavoro del cinema della crudeltà” come lo definì Jacques Lourcelles, nonostante si tratti di una commedia. Interpretato da Victor Moore, Beulah Bondi e un giovane Thomas Mitchell, racconta la storia di due anziani coniugi, Barkeley e Lucy Cooper che, in piena Depressione, perdono la loro casa per i debiti contratti con le banche. Nessuno dei loro cinque figli è in grado di prendersi cura di entrambi e quindi sono costretti a separarsi. Lucy viene ospitata da uno dei figli maschi e Barkeley da una delle figlie femmine, ma si tratta di una sistemazione temporanea: la convivenza con gli anziani risulta difficile. Alla fine lui viene mandato lontano, dal figlio che vive in California, sulla cui disponibilità è lecito nutrire qualche dubbio dal momento che “non ha mai mandato neppure un’arancia” e lei in un ospizio.
Prima della separazione definitiva trascorrono un’ultima giornata insieme alla ricerca dei luoghi che molti anni prima li avevano visti giovani e pieni di aspettative verso il futuro. L’addio alla stazione con la certezza non espressa ma solo distrattamente accennata che non si sarebbero mai più rivisti, è di una tristezza straziante: impossibile trattenere le lacrime. Il film, il più amato dal regista e oggi considerato uno dei suoi lavori più belli, fu un clamoroso insuccesso, al punto che la Paramount non gli rinnovò il contratto. Quando McCarey vinse l’Oscar per The Awful Truth (L’orribile verità) che uscì lo stesso anno di Make Way for Tomorrow, si rivolse al pubblico dicendo: “Grazie, ma me lo avete dato per il film sbagliato”.
“Love Affaire” (Un grande amore) del ’39 con Irene Dunne e Charles Boyer è il film che chiude la trilogia dedicata al matrimonio e preannuncia il tema della spiritualità presente nella trilogia religiosa degli anni ’40: “Going My Way”, “The Bells of St.Mary’s” e “Good Sam”.
Terry e Michel non hanno un solido senso morale: lui non ha mai lavorato un giorno della sua vita e non ha intenzione di iniziare a farlo dal momento che sposerà un’ereditiera; lei è un’ ex cantante di night club mantenuta in una vita lussuosa dal proprietario del night che forse un giorno la sposerà.
I due affascinanti personaggi si incontrano su una nave da crociera, si innamorano e decidono che dovranno meritarsi l’un l’altro cambiando radicalmente le loro vite. Il loro amore è grande e riescono nell’intento ma l’immoralità in cui vivevano merita una punizione e quindi dovranno soffrire un po’. Così lei resta paralizzata in un incidente stradale mentre sta raggiungendo il luogo del loro appuntamento (L’Empire State Building!): “Proprio mentre stavo per diventare una brava ragazza!”. Lui soffre le pene dell’inferno perché pensa di essere stato ingannato proprio quando aveva deciso di guadagnarsi da vivere con i propri mezzi. Solo dopo alcuni mesi di sofferenze i due potranno riabbracciarsi e vivere insieme felici e contenti.
Nel ’57 McCarey fece un remake del suo film, “An Affaire to Remember” (Un amore splendido) con Deborah Kerr e Cary Grant. La storia ha un tono più elegante e meno brillante, come testimoniano le qualità della Kerr rispetto a quelle della Dunne e anche se la recitazione di Charles Boyer, con tutte le sue sfumature, è migliore di quella di Grant, il fascino di quest’ultimo, ancora oggi, non ha eguali. Si tratta quindi di un remake forse un po’ meno divertente ma più sontuoso ed emozionante: l’attimo in cui Grant ormai consapevole del dramma avvenuto guarda la Kerr, è di sublime intensità. Per la durata di quell’attimo potremmo anche essere indotti a pensare che la perdita dell’uso delle gambe non sia poi un prezzo troppo alto.
Antonella Pina