di Renato Venturelli.
Sono gli uomini senza volto del cinema action, gli eroi che tutti vedono e ammirano ma nessuno sarà mai capace di riconoscere in faccia, le star condannate a restare sempre nell’ombra.
“Unsung Hero” è un film tutto dedicato ai “suit actors”, vale a dire gli attori che interpretano personaggi interamente nascosti dietro costumi che ne celano anche il volto. E il protagonista è il migliore tra loro, un perfezionista dell’action, un fan di Bruce Lee che a cinquant’anni suonati continua in ogni film e telefilm a rischiare la vita, passando da una frattura all’altra per compiere le acrobazie più rischiose, esponendosi ai pericoli del set restando eternamente confinato al ruolo di professionista anonimo.
Il film prende il via quando sta finalmente per esordire come attore vero e proprio, ma si ritrova ancora una volta respinto ai margini, costretto a cedere il passo a un giovane interprete supponente e fatuo. Al suo fianco, un altro artigiano stagionato, un collega che ogni giorno è costretto a calarsi nel ruolo di una giovane eroina action, e ogni sera, alla fine delle riprese, si sfila dal suo abitino in rosa rivelando il proprio fisico maschile e i capelli grigi dietro le movenze leggere da supereroina teen.
Naturalmente il film è un grande omaggio a questi meravigliosi professionisti che stanno dietro le epopee pop d’azione ed arti marziali, ma insieme a questo è anche tante altre cose. Perché il numero uno di stunt e suit actors è anche l’estrema incarnazione di un’arte che arriva dai secoli passati, per reinventarsi oggi davanti alle telecamere delle serie tv o negli spettacoli per ragazzi su piccoli palcoscenici, come le figure di un antico teatro di burattini. E in questa sua dedizione assoluta è l’ultimo interprete di un senso del dovere che sembra quella dei suoi personaggi e al tempo stesso di una devozione al cinema sublimata nell’assoluto dell’anonimato.
A dirigere “Unsung Hero” è Take Masaharu, 48 anni, presente al festival anche con “100 Yen Love”: e per tutta la prima parte riesce a calarci in quest’universo attraverso immagini formicolanti di movimento, di gag e di colori, ma anche di omaggio a un’antica sapienza e a un’autentica passione. L’ingresso dell’attore giovane e bello in questo mondo di corpi consunti e di movimenti rigorosi ricorda quasi quello di un “Freaks” dell’action moderno, la discesa in un mondo parallelo condannato all’invisibilità, ma dal quale qui si può poi riemergere trasformati.
Tutto mescolando umorismo a piccoli tocchi di patetismo, con gran finale da ninja bianco, e col regista coreano Lee Joon-Ik nel ruolo di un regista megalomane: la sua esaltazione del regista come autore assoluto, chiuso in una supponenza autoriale al tempo stesso feroce e visionaria, finirà per suonare beffarda davanti all’etica dell’anonimato assoluto del samurai “suit actor”.
(renato venturelli)